sabato 31 dicembre 2011

La buona notizia dell'ultimo giorno

E' che è l'ultimo, credo. Basta che non lo si prenda troppo sul serio, altrimenti sono cavoli amari.

Le mie personali convinzioni sono.

1. I bilanci, questi sconosciuti. Se ti guardi indietro, inevitabilmente con gli occhiali umani vedrai più meno che più, a meno che sia accaduti eventi eccezionali. Ma la vita non vibra di eventi eccezionali, penso, bensì acquisisce calore e valore con i momenti, le abitudini spontanee o volute, i legami. Quindi, il bilancio lasciamolo ai politici, che li cannano pure.

2. Festeggiare per forze. E che cosa? Che qualcosa se ne sta andando. A parte che il tempo non esiste, asserisce la Kabbalah, e quindi non dovremmo nemmeno caricare di significato l'anno nuovo, figurarsi il vecchio.

Ognuno non può semplicemente fare ciò che desidera? Se ama festeggiare l'ultimo giorno, si accomodi. Se non gliene frega niente, lasciatelo in pace.

3. C'è la vita. Non è fatta di anni, neanche di giorni. Di momenti appunto, diceva la buona Virginia.

Viviamoli, tutti, come possiamo, come sentiamo. La buona notizia vera forse sarà questa.

venerdì 30 dicembre 2011

La canzone per finire e ricominciare

Ogni tanto bisogna rinnegarsi, anche per gioco. E io oggi mi gioco la faccia metallara. So che concludere l'anno e via sono tutte baggianate, ma lasciatemi fare la ragazzina. Un pochino.

Spulcio tra le mie canzoni per trovare quella giusta. Stamattina avrei dovuto ricevere una solenne benedizione con Jim Morrison che istruiva dall'altoparlante del bar. Se fossi una brava rockettara, pescherei a occhi chiusi dal repertorio degli Aerosmith. O magari dai Led. Mi infliggerei una scossa con gli Ac Dc, grandissimi.

No, la perversione abita qui. Chissà se mi perdoneranno alcuni amici, Franci in testa. Ma Steven Tyler non ammonisce: imparare dai folli e dai saggi?


Dai che voglio mettere The Dark Side of the Sun. Mi perdonino pure i Pink Floyd, e facciamola finita. Scelgo i Tokio Hotel. Non è che per togliermi qualche anno, impertinenti che non siete altro. Giusto perché mi piace il messaggio. Tutto è finito, perché tutto deve ricominciare. La fine è vicina... il futuro è appena cominciato.

Soprattutto, siamo qui ancora in piedi. Alive and kicking, cantava qualcun altro.

Ma la vostra canzone? fuori dal cassetto.

mercoledì 28 dicembre 2011

Perdonami, Indro, ma 40 anni fa...

Per consolarmi guardo RaiStoria. Mi assale la nostalgia di Pertini, se non altro perché ero ragazzina e andavo matta per i suoi modi. Ma il 1981 non fu buon anno, poi ne parlerò.

Allora, indietro al 1971. Tra poco comparirà il rassicurante volto di Indro Montanelli, in un dibattito sulla società violenta. Un déjà vu, in direzione contraria: di diverso, c'è la classe, mista a prudenza.

Poi una giornalista intervista uno dei "mostri" (di già') dell'epoca, già sospettato e pochi giorni dopo arrestato per rapimento e omicidio. Lui allora nega e sorride, davanti ai microfoni.

Domanda della giornalista: ma se fosse stato lei il rapitore, come avrebbe pensato di sequestrare la ragazza? Con quale tecnica e via?

Persino il "mostro" sorride. Poi posa e risponde, al secondo tentativo, perché la domanda non viene deposta.

Quarant'anni dopo siamo sempre qui, Indro. A chiedere: cosa si prova in questo momento? Che cosa, preciserebbe Antonio prima di darmi una tappata in testa per la domanda.

Che pazienza, dovevate avere già allora.

lunedì 26 dicembre 2011

Giorgio, Indro e l'ora implacabile di Fighettilandia

Riesplorando la vita e l'impegno di Bocca, mi sono venuti in mente tutti i maestri: quelli che mi hanno guidato giorno dopo giorno, quelli che ho incontrato per caso. Molti di loro non ci sono più. Dalla memoria è affiorato anche un incontro straordinario, anche per come era accaduto: quello con Indro Montanelli, ricoverato nell'ospedale della città dove lavoravo per un intervento all'occhio. Ci mandò - il mio impagabile maestro Antonio Porro - con l'ordine perentorio: tornare con un'intervista. Il fotografo (con il quale ho ancora la fortuna di lavorare!) e io naturalmente fummo cacciati dal reparto. Siccome con Porro c'era poco da rientrare a mani vuote, escogitammo vari modi per perforare quella barriera.

So che sembriamo sciacalli: da una parte lo pensavo e lo penso sempre di più invecchiando. Ma era il nostro lavoro e credo che l'importante sia cercare di farlo con rispetto, fermandosi a un no della persona ed evitando domande idiote. Noi in fondo lo sapevamo: Indro non aveva pronunciato quel no, bisognava tentare. Non appaia come un alibi. Difatti, eravamo lì a studiare un pronto rientro, quando apparve un medico: il direttore ha detto di farvi entrare. Aveva saputo, Montanelli, che c'erano una giornalista e un fotografo e disse: scherziamo, è il loro lavoro, fateli entrare, io sto bene.

Aveva una benda all'occhio e l'unico niet fu per la foto, un dolce peccato di vanità che costò una reprimenda al povero Dani. Ma non solo ci parlò per l'intervista: ci trattenne, volle sapere di noi, ci diede consigli.

Così era un Maestro. Come Bocca. Gente che voleva stare con la gente, per capirla e scrivere.

Oggi troppi provengono da Fighettilandia, e l'unico ambiente che frequentano sono le stanze dei bottoni. Mentre - come diceva il mio maestro Mino Durand - è meglio ascoltare il più umile: difatti, tutti comprendevano e apprezzavano i suoi editoriali.

E fosse l'unico problema, quello di apparire maestri perché si frequentano i potenti, perché si fa i fighetti, o perché si hanno i numeri di telefono dei vip da sventolare davanti ai superiori o a chi ci casca. Ora tutti si mettono a fare i maestri, a ogni età, forti solo di cellulari e mail.

Che sono il presente e il futuro, certo. Ma quando cammino tra la gente e ne contemplo i volti, quando mi fermo a un bar, parlo con una persona che la vita se la suda, io sono più felice. E penso ai miei maestri, a ciò che lasciano in barba a Fighettilandia che prima o poi si autodistruggerà,

venerdì 23 dicembre 2011

Il mondo dentro di noi: buon Natale

Questa mattina ho cercato di dare uno sguardo alla posta, dopo un piccolo stop. Mi sono persa e ritrovata.

C'è tutto un mondo in quei messaggi, e vorrei riuscire ad abbracciarlo intensamente, ma le braccia sono piccole e anche le forze mi hanno un po' tradito.

Sfogliando i messaggi, penso a quanto sia fortunata. A quanti incontri sulla nostra strada, e anche se a volte ti sembra di smarrirli, c'è un filo che ci lega a loro. Si può ripresentare, a sorpresa, può essere tenacemente coltivato oppure prendere un'altra via. Eppure siamo legati.

A tutti coloro che mi hanno scritto e mi scriveranno, a quelli che non lo faranno, a chi ho amato e ferito (a volte entrambe le cose), a coloro ai quali riuscirò tempestivamente a rispondere oppure no, vorrei dire centomila cose, racchiuse poi in una parola, perché a Natale secondo me bisogna anche "risparmiare" per concentrarsi su ciò che avvertiamo come essenziale: grazie.

Grazie se vi ho incontrati un'ora, un istante, una vita, se state camminando con me, oppure no. Se state camminando, semplicemente, perché state così compiendo un'opera mirabile per tante altre persone.

Grazie di aver speso anche un pensiero per la piccola Malu. E naturalmente, cosparso di sorrisi riscaldanti: buon Natale.

La Luce, probabilmente

C'è un posto perfetto in cui incontrarsi. Sai qual è? Proprio vicino al pino Bruno, lui ti può appena lambire. E di fronte al bosco che si spalanca in un abbraccio.

Il Natale forse è incontrare Te, e tutti quelli che già vi hanno raggiunto lassù in un'eterna festa che è donarsi. Il sole mi ha incatenato lo sguardo, filtrato dai rami ormai spogli eppure così ricchi. E quando lo alzavo ancora di più incontravo un cielo immerso nel blu, che doveva tenermi avvinta. Così non è stato... non c'è nulla di più incantevole della Luce, che insegue gioiosa tutte le creature. Anche quelle piccoline come Malu.

Buon anticipo di Natale

giovedì 22 dicembre 2011

Vorrei una canzone per il Natale (non basta la parola)

Vorrei una canzone per il Natale, che non spalmi come melassa la parola Natale su fette di pane raffermo, o peggio ai mille profumi.

Mi tappo le orecchie, bombardata da musichette in cui basta la parola, e via... Avanti, alla carica sotto le luci e il tintinnio delle carte di credito. Su Last Christmas sapete già come la penso. Ma anche altre canzoncine di casa nostra, stop please!

Non basta la parola. Quei motivetti mi rincoglioniscono, ma mi tengono lontana dalla nuda terra su cui brilla una tenue luce. Sì, leggera come la brezza che annunciò Dio nel deserto.

Vorrei una canzone lieve, che in questi giorni mi riportasse alla fatica di vivere, sparigliata da una Speranza. Magari del Natale non deve parlare affatto, perché il Natale è qualcosa di indescrivibile, che si può solo cercare dii vivere. Una canzone che non sia troppo dolce, né faccia balenare unicamente il freddo il gelo.

Ma che mi faccia sentire una donna in cammino, verso una stella.

Perché ognuno di noi credo che guardi una Stella. E attenda una Canzone.

martedì 20 dicembre 2011

I miracoli di Brera

Da anni non ci mettevo piede, fuggendo più spesso verso vari impegni o verso il bagliore del Duomo e delle meraviglie attorno. Ma lo stupore si può trovare veramente, se si torna a Brera.

Ha ragione un mio amico, da Milano si può stare lontano tranquillamente, se si abita in Insubria. Siamo incredibilmente autarchici. Anzi, giova starle lontano, diradare le visite... a patto di tornarci ed essere pronti ad accogliere lo stupore.

Di solito, ci si meraviglia per ciò che cambia. Ieri contemplavo Brera con la gioia di vederla così simile a se stessa, pur accogliendo il presente. Per un istante, mi è parso di cogliere flash di artisti che si incamminavano seri con le loro tele, forse persino lo zio Angelo, che sarebbe diventato un grande pittore e già lo sapeva, con la sua grinta preveggente. Mischiava nella mente colori e i sentimenti per la nostra Antonietta, capolavoro del Signore tra i capolavori che lui avrebbe tracciato.

Realisticamente, oggi loro a trovarsi lì quegli artisti potrebbero sobbalzare. Ma a me sembra tutto così piacevolmente rimasto ancorato alla propria identità. Certi negozi, tenaci e gloriosi nella loro miniatura, mi pare di vederli solo lì. E come una turista svampita, ho scattato la fotografia al ristorante cantato da un libro che l'anno scorso un amico aveva avuto l'accortezza di donarmi.

Respiravo l'umanità. Vero che con il mio topo e la mia amica, tutto è magico. Tuttavia, Brera lo è di suo. E via verso lo storico panificio che è diventato modernissimo, dentro, ma sfoggia il suo volto profumato e severo fuori. Guardando con tenerezza le turiste russe che si regalano foto davanti alla vetrina luccicante di torte, i loro cappelli di pelliccia biglietto da visita in una calorosa città.

lunedì 19 dicembre 2011

La tolleranza pericolosa

Il sapore è brechtiano. If you tolerate this, then your children will be next.

Risento la canzone dei Manic Street Preachers e mi chiedo se io abbia provocato più danni da tollerante o da intransigente. Detesto la tolleranza, anche se le radici sono meravigliose e mi portano a Voltaire.

Quella che piacerebbe a me, è amore, carità o chiamatelo come volete. Ciò che non riesco a praticare, se non ai minimi termini. Più facile salire di qualche gradino e osservare tutti rabbiosi. Più facile in apparenza, solo che poi non ti trovi più il fegato, né il sorriso.

Vorrei amare il mondo intero, l'umanità e le altre creature che a volte sono superiori. Mica tollerarlo. Quello si chiama limitare i danni, e comunque rimanere abbarbicato al gradino.

Guarda cos'abbiamo combinato nel nostro Paese a tollerare. Noi stessi e quelli che, in un modo o nell'altro, abbiamo messo a guidare il Paese: troppi ci hanno delusi, perché troppi hanno rispecchiato noi stessi. Le nostre furberie da quattro soldi, la nostra brama di apparenze, la corsa verso il nulla, verso briciole di potere che siano un posticino in prima fila a una povera manifestazione o una sedia dorata nella stanza più importante.

Abbiamo tollerato questo, e dove siamo andati a finire? Tolleriamo ancora... che distruggano, che distruggiamo quello che abbiamo saputo costruire in questi anni. Perché c'è anche un'Italia meravigliosa, creativa e caritatevole.

Tolleriamo che distruggano e facciano del male a un numero crescente di persone, i signori mica tanto occulti della finanza. Tolleriamolo e i nostri figli saranno i prossimi.

venerdì 16 dicembre 2011

L'insostituibile leggerezza di una lettera

Arriva con i suoi colori carichi di calore, puntuale da 30 anni. Prima di aprirla, sai già tutto con gioia perché c'è un bollino dorato con l'indirizzo prestampato: lo stesso da 30 anni.

Il mio penfriend norvegese! Leif non ha mai interrotto il suo dialogo con me, via lettera, da quando i nostri indirizzi si sono incrociati per indicazione didattica: bisognava avere degli amici di penna con i quali scrivere in inglese. A dire il vero, gioia nella gioia, me ne sono rimasti due. Lui e Rajeev. Con quest'ultimo Facebook ci ha fatti ritrovare, grazie!

Ma ammetto che è insostituibile una lettera. Tanto più a Natale. Io guardo con ammirazione Leif, la sua costanza, la sua precisione, il suo attraversare le fasi della Vita con dolce eleganza. Con sua figlia, anche lei penfriend, sono rimasta legata sempre tramite Facebook. Con lui, appena ricevo la lettera, vorrei prendere e scrivergli a mia volta. Invece, so già che scriverò una mail, e me ne duole. Altrimenti rischio di non rispondergli affatto. Un anno è accaduto, e lui non mi ha mai rimproverato. Leif è un signore garbato, che capisce prima che tu stessa lo faccia.

Sì, Leif, ti scriverò una mail e perdonami. A parte la diffidenza cronica sui tempi postali, non voglio costringerti a decifrare la mia calligrafia che negli anni - anche se sembra impossibile - è peggiorata. Mi ricordo che una decina di anni fa scrissi a un mio amico in Francia, con tutta la buona volontà. Lui telefonò a ringraziarmi, e aggiunse: adesso mi spieghi cos'hai scritto che non capisco?

mercoledì 14 dicembre 2011

La danza e la tempesta: Ultra-tuffo

L'ansia vola via o cambia forma, mentre al centro commerciale passando capto "Dancing with tears in my eyes".

Ultravox. Ultratuffo nel passato. Così simbolica della vita, questa immagine. Quante danze quotidiane, portate avanti con apparente grazia, e le lacrime che scorrono o vengono nascoste.

Mi ha riportato -ancora una volta - anche alle paure di una volta. Come sono cambiate. Questa canzone, questo video ci gridavano di un giorno che era l'ultimo, con il "coming storm". Sullo schermo era il disastro nucleare che allora tutti ci gridavano come imminente. L'isteria di cui cantava Sting.

Ora le tempeste cambiano. Le lacrime restano. Come le nostre danze quotidiane.

martedì 13 dicembre 2011

Anatomia di una canzone (si stava peggio...)

C'era un tempo in cui il mio angelo del rock mi teneva lontano dalle tentazioni, dalle derive pop. Difatti, sono rimasta immune da tante deviazioni: il cielo sia lodato.

Ma la fregatura è che quando metti su qualche anno - oltre che qualche chilo, ma questo non c'entra, allora - abbassi le difese. E tanta musica che non entrava in casa a quei bei tempi, ora si infila come un serpentello. Così ho accettato ad anni di distanza i Duran Duran, ad esempio, che paragonati a certe band d'oggi, mi sembrano quasi dei geni.

George Michael oltretutto mi era quasi simpatico, e mi piaceva il nome Wham. Poi viene Natale e ti sparano a ogni pié sospinto il tormentone Last Chrismas. Metto le note da parte e ragiono sul testo.

"Lo scorso Natale ti ho dato il mio cuore, ma il giorno dopo tu l'hai dato via. Quest'anno per salvarmi dalle lacrime, lo darò a qualcuno di speciale".

Questo scambio di cuori è peggio del gioco lanciato in tempo di crisi: la pepatencia dei regali. E poi giù con i piagnistei.

Ma dai, George è Natale...


E pensare che ritengo il 1984 il mio anno superfortunato. Si stava peggio quando si stava meglio.

lunedì 12 dicembre 2011

La rivoluzione francese e l'impero

Vuoi vedere che ora hanno paura? Ci sono due fiumi che scorrono paralleli: la rabbia e la paura. I cittadini e i politici.

Cittadini, riecheggia citoyens... Sarà per questo che sento qualche politico parlare di rivoluzione francese, con vago tremore?

Sì, è vero siamo incavolati neri. Ne vedo tanta di rabbia, alternata o intrisa di amarezza. Anch'io mi sento incavolata nera. Con quelli che si siedono così non alto da dimenticare noi umani. Con noi stessi che siamo rimasti a guardare e non sappiamo che fare.

Non ci sono forconi, figurarsi ghigliottine. Sedete su troni assurdi nella loro distanza. Ma anche quelli vengono giù. E soprattutto, come diceva Montaigne, su quei troni appoggiate comunque tutti la stessa parte.

Venite giù, che la rivoluzione francese c'è già stata. Ma anche l'Impero è passato.

domenica 11 dicembre 2011

Quelli che hanno tutto da perdere e se ne fregano

Il conte Agostino Guerrieri probabilmente non apprezzerebbe il titolo del post e gli chiedo scusa. Ma la sua storia - catturata in un fiammeggiare di tv notturno - mi ha catturata.

Premessa, il bene che tutti hanno, di uguale valore, si chiama vita. Ma certo fa impressione che un giovane nobile, che potrebbe vivere tra gli agi e i riconoscimenti, si trasformi in uno scatenato patriota e metta a rischio tutto: casata, beni, possibilità di una discendenza stessa... Incarcerato e condannato dagli Austriaci, liberato infine, ancora in prima linea senza alcun riguardo per se stesso. Il tutto partendo da Verona... insomma, un veneto sostenitore dell'Italia nonostante ogni legge di convenienza lo mettesse in guardia. Convenienza, can you see? Purtroppo la prima, o più agghindata fede dei nostri tempi italiani.

Sono queste le storie di Risorgimento che mi attirano, che sfuggono al magma dei libri di storia.

Se fosse un titolo da tv, direi proprio così: quelli che hanno tutto da perdere e se ne fregano. Con una piccola aggiunta: ma non di tutto.

sabato 10 dicembre 2011

L'anello di Marilyn

Marilyn Monroe’s platinum and diamond eternity wedding band given to her by Joe DiMaggio after their 1954 wedding.

Lo sapevo che doveva esserci anche qualcosa appartenuto a quella bellissima bambina, all'asta delle icone di Hollywood. Del divano arancione di Friends francamente me ne infischio. Ma in ogni angolo del mondo c'è qualcosa di Marilyn Monroe. E siccome oggi mi sento particolarmente romantica, penso che questa volta c'è pure qualcosa di speciale, come speciale era DiMaggio. L'uomo che l'ha amata, sostenuta anche quando altri erano stati nella sua vita.

La bellissima bambina cantata da Truman Capote in un giorno di lutto che voleva riscattarsi con lo champagne e invece tra i gabbiani e i biscottini della fortuna, un nuovo lutto stava annunciando.

Lei ritorna nelle immagini, negli eventi, nei pensieri.

C'è sempre un frammento di Marilyn, e della fragilità della vita, in ogni scampolo di eternità.

venerdì 9 dicembre 2011

Da Ponte, Mozart e quel che rimane

Ho conservato lo speciale "Don Giovanni" del Corriere, perché credevo di nutrirmi di Mozart. Invece, mi sono calata a sorpresa soprattutto nella storia di Lorenzo Da Ponte. Mi sono resa conto di come sia ignorante nei confronti dei librettisti. Di chi è stato non meno fondamentale nel trasmettere la potenza della lirica.

Mi ha colpito (anche) il divario di vita, tra lui e Mozart. Wolfgang, troppo geniale per rimanere a lungo su questa terra. E Da Ponte invece che cavalca anche i mari, va a New York, muore a 89 anni e non prima di aver cercato di seminare l'amore per l'italiano e la lirica nel nuovo continente. Ancora nuovissimo, allora...

Un'esistenza straordinaria, quella di Da Ponte, e mi assale la voglia di leggere le sue Memorie. Alla fine, i fili si riavvolgono. Mozart lo chiama e lui lo raggiunge. Neanche di Da Ponte - leggo - si sa dove sia sepolto. A New York, sì, ma i suoi resti si mescolarono con quelli di altri in un trasferimento.

Quel che rimane è Altro.

giovedì 8 dicembre 2011

Una canzone per Jim Morrison. E per me

Questa sera mentre scorre l'intera giornata, avrei solo voglia di un valzer. Uno di quelli che mi faceva ballare il nonno in Valle, prima di fermarsi ridendo perché girava troppo la testa. Allora si aggrappava al tavolo di marmo e tutte le forze si sprigionavano nella nostra complice risata.

Allora pesco il valzer dell'inverno. Wintertime Love. Neanche riesco a suonarla bene, a parte che massacro tutte le tue canzoni, Jim, con la tastiera: diciamocelo.

Però, a mia attenuante, abbasso il volume.

Tutto sussurrato come la tempesta che stiamo attraversando. E dalla quale tu sei al riparo, da tempo, tra note che non finiscono mai.

Buon compleanno, Jim.

mercoledì 7 dicembre 2011

Le donne e la contrada dell'Oca

Qualche amico perfido avrà già scritto il suo blog immaginario partendo dal titolo.

Ma siamo seri: anche se al Palio di Siena tifo da sempre per il Montone (Valdimontone, specifichiamo così spazzo via altre tentazioni di battute sciocchine), applaudo alla contrada dell'Oca che finalmente ha concesso il diritto di voto alle donne nelle assemblee.

Chi la dura la vince. Ora, sfogatevi uomini sulle oche... Ma secondo me era particolarmente doveroso far votare le signore in questa contrada. Difatti, è quella di Santa Caterina, patrona d'Italia e dottore della Chiesa. Una donna che sapeva all'occasione dare una svegliata ai maschietti, specialmente ai posti di potere.

Cara patrona, continua a vegliare tu. Ben oltre la bellissima Siena.

lunedì 5 dicembre 2011

Super Furry Animals

Chissà perché questa notte si sono insinuati nei miei pensieri girandole di nomi. Vorticose come i sogni, che generalmente riesco a memorizzare, o almeno a trattenere un poco fino ad affidarli al vento della giornata, che tutto porta via.

Forse tutto è nato da un mega sondaggio interno: qual è il nome più bello di un gruppo, rock ma non solo? Allora mi sono venuti in mente loro, nome assurdo e per questo delizioso, che ho conosciuto per un lampo di stagione o forse due. A dire il vero, scopro da Wikipedia che sono ancora in attività, addirittura hanno pubblicato un cd nel 2009. Ma dove sono finiti i Super Furry Animals? apprendo anche che sono gallesi - e adesso mi sembra il minimo. Ne fui attirata da una canzone poco plasmabile dal titolo Demons. Ora prendo una strofa a caso e vorrei che fosse la realtà in questo mondo sottosopra.


When there's northerners in southerners
And westenders in eastenders
And sunny days in January
Left spaces in my diary


E poi torno ai loro demoni.
But the demons never need to know
What the demons never got to see

Dei Super Furry Animals possiedo anche un delizioso cd donato dall'Inghilterra. Non lo voglio risentire stamattina, mi accontento del finale di Demons oggi.

Sai che sappiamo che non sanno che sta accadendo.


Socrate, avresti mai pensato...?

venerdì 2 dicembre 2011

Giannino, Jim e la crisi (che non c'è)

Ho voglia di essere perfettamente demagogica. Guardo le immagini di Oscar Giannino bersagliato da uova e pomodori e penso: visto Oscar che ti sbagliavi? La crisi non esiste...

A me stai irrimediabilmente simpatico, anche se da settimane annunci - come un frate trappista, se non fosse per quel tono brillante - l'apocalisse. Ti adoro, Oscar, perché per chiarire le idee sei arrivato a chiudere le tue puntata con "The end" di Jim Morrison. Della serie: se non capite con i discorsi, ci proviamo con le canzoni.

Ma per te, caro Giannino, siamo messi così male? In fin dei conti gli studenti - che io credo debbano contestare, in altri modi possibilmente, perché così è quando ci si trova in quella fase della vita - hanno lanciato uova e pomodori. Alimenti. Spero almeno che fossero scaduti o deteriorati (non per le tue impeccabili giacche e il tuo buon gusto, si intende), perché altrimenti mi metterebbe un pelino di tristezza. Non bisogna più arrivare fino in Paesi lontani per vedere persone che quegli alimenti se li sognano. Basterebbe guardare nel frigo di non pochi pensionati, tanto per fare un esempio. Solo che loro, non contestano.

lunedì 28 novembre 2011

Il bello (di) Bon Jovi

Bon Jovi, due parole, tre sillabe, un mistero. Sì, mi rivolgo direttamente a te, Jon, rivedendo il concerto al Madison Square Garden.

Ti ho visto la prima volta nel 1984 a Losanna e sotto i capelli non avrei scommesso proprio su di te, sorry. Alle mie orecchie provocavi solo un gran rumore, e oltre tutto ritardavi l'ingresso dei Kiss in scena. Acquistai il tuo "Runaway" perché mi sembrava doveroso. Al secondo disco, ti bollai come troppo molle. Fine della storia. Invece, furbacchione, con "Slippery when wet" mi hai preso per le orecchie e questa volta me le hai tirate sonoramente. Fatto sta che più di 15 anni fa tu piombasti con la band a Milano e quando un collega si lamentò che era stato costretto ad andare, perché nessuno dei brillanti giornalisti attorno a lui voleva muoversi per quel capellone, mi strappai i capelli tipo fan dei Beatles alla prima maniera.

Poi, confesso, "Wanted dead or alive" per me è un manifesto rock delizioso. Solo per questo sarai assolto a vita se cambierai, Jon. Non sei nella mia top ten del rock, ma ti guardo con grande benevolenza.

Hai un difetto terribile: sei troppo bello. Ma proprio bello, capisci, hai un volto inossidabile e persino simpatico, un sorriso nato per conquistare il mondo. Non hai neanche un'ombra di maledizione rock e sei sposato con la ragazza che risale dai tempi di scuola. Non fosse stata per quell'ombra dell'attrice che non nomino, saresti stato davvero impeccabile.

E fai pure del bene, Obama ti ha chiamato... Ah, ecco il bello di Bon Jovi, tutto quadra alla perfezione. Roba da rimuoverlo dall'attenzione immediatamente.

Invece no, perché quel sorriso da ragazzo cresciuto (ma non troppo) aiuta far innamorare della vita, ogni giorno.

giovedì 24 novembre 2011

Come on Lenny, stand

Come on stand, up again.

Tutto è un gioco, e così serio, quando c'è di mezzo Lenny Kravitz. Così ridicolo e così sensuale, scorrono le note e le immagini, accompagnandoci verso la notte.


Ci sono momenti in cui Lenny ti stordisce, tanto ricalca il copione che ti aspetteresti da lui. Poi, ecco che butta tutto all'aria, si traveste e si prende in giro, come un bimbo dispettoso. Tu ti lasci tentare dal sorriso e dal ritmo, così quasi ti perdi il testo.


Vogliamo forse restare qui, a crogiolarci nei pensieri? La battaglia è nella tua mente...

Come on stand, up again. Va bene scivolare nel riposo, o nell'autoflagellazione. Domani mattina su ancora, però.

mercoledì 23 novembre 2011

Dylan e l'autostrada che ritorna

Questa sera sono tornata in autostrada. Merito di Francesca, alla quale posto anche la sua personale classifica sulle highway songs, chiedendole scusa se non sono un gran Virgilio dei blog!

Grazie a lei, sono tornata ai banchi del liceo e mi sono immersa di nuovo nella musica. Mi ha benevolmente sgridata per non aver mai citato Bob Dylan, ma mi inchino, giuro Francesca. Se tutti noi, sporchi e cattivi rockettari, ci siamo sentiti in dovere di tuffarci in "Knockin' on heaven's door", ci sarà una ragione. E se ascolto uno stralcio di un musical di questi tempi per aggrapparmi ancora a una risposta cercandola nel vento, significa una cosa sola. Che Bob resta incredibilmente e sempre sotto pelle.

Per il resto, guardo la tua classifica e mi ricordo il tuo sorriso, il tuo entusiasmo musicale. Erano anni terribili, gli Ottanta, diciamocelo. Ci sparavano addosso "The day after" mentre tutto attorno era glamour; ci riempivano di apparenze, e intanto ci facevano respirare l'energia atomica. Persino Sting poi si è messo a strigliare americani e russi, definendo Usa ed Europa sul'orlo dell'isteria: il che ci faceva solo sentire con un piede nella fossa, dem. La musica ci salvava, da questo e da molto altro.

Così dei compagni di liceo, ricordo soprattutto i gusti musicali. Ricordo anche la delusione di Paola, quando un giorno mi chiese il libro di scienze in prestito, per studiarne gli appunti; solo che poi si rese conto che le pagine erano vergate di canzoni, ecco perché ero sempre immersa nella scrittura...

Mi ricordo com'eravamo, cosa suonavano e sognavamo (l'assonanza è un'altra prova irresistibile).

Allora ringrazio Francesca e pubblico la sua classifica delle canzoni da autostrada. Che me la fanno ricordare in modo ancora più nitido.


1.  Running on Empty – Jackson Browne
2.      Ventura Highway – America

3.      Human Highway – Neil Young

martedì 22 novembre 2011

Voices... da Lupo a Grasso e Morrison

Questa mattina ho visto un lampo, un film in cui compariva Alberto Lupo e francamente mi sono sentita spaesata. Perché Alberto Lupo è voce, o al massimo tv bianco e nero. Mai avrei pensato di vederlo a colori in un film d'azione.


Così ho fatto il bis con un programma televisivo del '71, avevo tre mesi dai... va be', tre qualcosa. Test psicoattitudinale: chiudere gli occhi e far risuonare dentro di sé la sua voce. Un incanto.


Quante altre voci, come adoro la radio anche per questo. Quando eravamo all'università, svolgevamo questo esercizio con la lezione di Aldo Grasso. Lui non lo sapeva, ma a volte ci infilavamo le cuffiette tra una lezione e l'altra per ascoltarlo alla radio. A prescindere dai contenuti - ci perdoni, prof - noi lasciavamo scorrere dentro la sua voce. Talora, tentavamo anche durante le lezioni da lui tenute, ovvero ci piazzavamo dietro a un corpulento compagno e ci azzardavamo a chiudere gli occhi. Il contenuto - questa volta, giuriamo prof - acquistava più potenza, se lasciavamo danzare la voce.


Ci sono voci fatte per essere ascoltate. Io adoro quelle profonde, che scavano nel cuore. Sia quella di un Jim Morrison, che scopre luoghi della coscienza inauditi, o di uno Scarpia trascinato dalla brama della fine. In diesen heiligen Hallen.... La sacralità si nasconde anche nella voce di un radiocronista, o di una persona che passa e ti trafigge con il suono del suo viaggio quotidiano.

Voices, più forti di ogni senso illusorio e della nostra ossessione di vedere.

lunedì 21 novembre 2011

Annie e Dave, perché no?

Pausa addobbi natalizi, per contemplare la coppia moderna. Eurythmics, sul video impazza "When tomorrow comes". Ma il domani è già qui.

Che sballo questo misterioso duo. Lei algida e androgina, quei capelli al minimo scolpiti, la voce che comanda a bacchetta. E lui? Scapigliatissimo, a darsi da fare in maniera vagamente scomposta con la chitarra.

Annie e Dave. Di recente, ho visto la foto nella rubrica "Tocco di classe" con una deliziosa giovane: scopro che è la figlia della Lennox e di un regista, la perfezione dello stile fatta persona. Se l'avesse avuta con Dave Stewart, l'avremmo immaginata spezzata a metà... Pallida e spettinata, composta ma con un piede fremente che sfuggiva al controllo. Dai ragazzi, non potevate provarci?

When tomorros comes... ma è già qui. Riprendiamo con gli addobbi di Natale, Quello sì che arriva, darling.

sabato 19 novembre 2011

Mercury e Carr, my champions

Il pensiero corre avanti. Anzi indietro.

Ricordi quel novembre di 20 anni fa? Sic. Ricordate. Eravamo un gruppetto in fase di mourning. Era trascorso quel maledetto 24 novembre per noi rockettari allo sbaraglio.

Freddy Mercury aveva sfidato la morte fino all'ultimo con la sua voce coraggiosa. Il video di "Show must go on" ce lo ricordava.

Ma lo stesso giorno se n'era andata anche la nostra piccola volpe. Eric Carr, arrivato in sordina, con un compito ingrato: sostituire Peter Criss alla batteria, nei Kiss. Nessuno può sostituire lui, ora. Lui e la sua umiltà, il nostro piccolo grande italiano che conquistò la premiata ditta Stanley e Simmons chiedendo l'autografo al termine dell'audizione.

Poi osano affermare che il mondo della musica è apparenza. No, è coraggio.

Ce lo raccontavamo quel giorno sul divano di casa, tutti insieme, musi lunghi e occhi ad arrampicarsi fino al cielo.

venerdì 18 novembre 2011

Il meteo e il bollettino dell'età

Curioso con voracitò e tenacia tra le pieghe del bollettino meteo. Finché guardo anche dentro di me e sobbalzo. Mi chiedo: ma da quando sono così attenta al meteo? Perché fino a qualche anno fa mi armavo e partivo, con sana incoscienza? Li prendevo pure in giro, quando vedevo altri impegnati in consultazioni: tanto non indovinano.

Piove? Embè, esiste un oggetto di nome ombrello. Nevica? Sai che roba, ci sono le gomme apposta. E via dicendo.

Ora prima di organizzare e muovermi per piacere o dovere, il gesto è più veloce della riflessione.

Vuoi vedere che sto invecchiando? No, su: sono diventata grande.

Ma un pelino di incoscienza è così bello preservarlo... Dai esco con la maglietta costi quel che costi. Ecciù.

mercoledì 16 novembre 2011

La saggezza degli asinelli

Meno male che ci sono loro, a brucare vicino all'autostrada. Li hai visti come sono calmi, quei due asinelli? Mica come noi che non solo corriamo follemente, ma con attacco di dilagante pazzia siamo saliti sulla giostra degli scontri calcistici-politici.


Loro ci guardano e scuotono il capo. No, guardate, lo stanno facendo perché si dev'essere posata una mosca tardiva. A noi non fanno attenzione, a meno che non ci avviciniamo e devono essere giustamente prudenti.

In onore a questa coppia, domenica ho rinunciato allo stufato d'asino. Il cinghiale mi perdoni, è che lui invece è così impetuoso.

Vedi che la saggezza paga, anche quando è nascosta, e tutti si ostinano a chiamarti "asino"?

martedì 15 novembre 2011

Fanigliulo e la vita in mutande

No non è vero, che il nome di Franco Fanigliulo non se lo ricorda più nessuno! Contesto l'Ansa che esce, annunciando peraltro un ottimo omaggio in Liguria il 30 novembre.

Poi però faccio il test con i colleghi e - se va bene - li vedo illuminati solo se accenno una canzone...

Solo che ai tempi non osavo cantarla troppo, per timore di bacchettate causa grammatica. E dire che avevo dei prof d'italiano così comprensivi.

"A me mi piace vivere alla graande, girare tra le favole in mutaande". Grande Franco, altra mente e voce scomparsa troppo presto.

E grande profeta. Guarda un po' dalle nostre parti, Franco: avevi capito tutto prima.

lunedì 14 novembre 2011

Un brindisi per il mio re

Così è se ci appare, Papà. Le mattine non possono essere tristi, se si ha il tuo carburante. Una preghiera, la famiglia e amici che compaiono...

In basilica è tutto più serio e lieve nello stesso tempo. Leggero è il mio cuore se qui penso a te e mi dico: che papà straordinario ho avuto. Ho. Chiama qui gli amici, nonostante tendenzialmente non lo dica a nessuno, della messa, perché si celebra prestino.

Arriva pure Tito con il libro che mi farà sorridere nei prossimi giorni. Convoca tutti per il caffè. Una tazzurella di caffè, un brindisi per il mio re. Tito ci mette un goccio, un goccino proprio, di grappa. La correzione che piace a noi Lualdi. Poi vedrò altri volti bellissimi e alla fine mi prenderò cappuccino e brioche nella Varese che mi sembra pure freddina.

I brindisi non finiscono mai, quando sono rivolti a un re. Festeggia ancora, se riesci a fermarti da tutti i ocmpiti che ti saranno affidati. Ma rimani con me.

sabato 12 novembre 2011

Pesantissimo mondo

Ne verremo fuori in qualche modo. Adotto la linea di Paul Stanley, once again, tutta la vita.

Some day, someway. Forse somewhere. Si è affacciato il sole su questo pesantissimo mondo, e non capisco bene su cosa si stiano intestardendo in giro con le parole. Non accuso solo i politici, ma tre quarti dell'universo. Perché quando il mondo è pesantissimo, tu sei il primo premio di pesantezza di solito. Difatti, ripongo la medaglia con vacillante orgoglio.

Ma davvero, non capisco proprio cosa stia monopolizzando - di così importante - i nostri pensieri, discorsi, viaggi. Nasciamo, muoriamo e se va bene lasciamo una scia di amore da qualche parte. Non è nemmeno sicuro, ma ci vogliamo credere.

Un pesantissimo mondo, quello su cui vive una labile umanità.

mercoledì 9 novembre 2011

Tu e il mio cappotto rosso

I legami si colgono anche dai dettagli. Noi siamo Gemelli, Amico mio, e ci accusano spesso di essere superficiali. Anzi, io mi rifugiavo nel mio giugno per difendermi: casomai, voi nati a maggio...

In realtà, ci sono dettagli che ci toccano e ci uniscono. Tu ne avevi uno speciale impresso: il mio cappotto rosso. "Mari - tu non mi ha mai chiamata Malu - hai ancora quel cappotto rosso?". E io ondeggiavo, smemorata, finché mamma non mi rinfrescava la memoria: lo indossavo vent'anni fa.

Hai persino esportato questo dettaglio, stupendo comprensibilmente qualche interlocutore. Vi ricordate la Mari con il cappotto rosso? Certo che no. Solo tu e mamma. Tra l'altro, lei è Cancerina, e specializzata in dettagli. Quando non mi ricordo qualcosa, i miei familiari e amici sono soliti dirmi: chiedi a tua mamma.

Adesso non so dove sia finito, quel cappotto. So che lo indossavo mentre entravo in un mondo che mi incuteva spavento, ma accendeva anche entusiasmo. Tutti noi pensavamo - nel proprio ruolo, nel proprio abito - di cambiare un pochino il mondo.

Adesso non so dove sia tu, Amico mio. Una parte di me lo sente, l'altra è sempre diffidente verso ciò che è intangibile.

Però, mi sembra di sentire ancora quella tua domanda lieve: "Mari, ti ricordi il cappotto rosso". La r arrotondata, la risata, un abbraccio. Così, tu sei ancora qui.

lunedì 7 novembre 2011

Altissimo, piccolissimo

Ehi birbante sei più alto di me. Tredici anni? Ma stai scherzando, Lawrence? Dai, era ieri che ti portavamo in chiesa per il battesimo. Mi ricordo tutti i libri che ho studiato per non arrivare impreparata dal prete (era l'unica materia in cui non volevo sfigurare) e conservo ancora la candela di quel giorno.

Va bene, posso mettere i tacchi e ingannarti ancora per un po'. Però ti chiedo un piacere: sopportami, se ti vedo piccolissimo a volte. Se la foto che ho sulla scrivania, è di te minuscolo, addormentato con il tuo pupazzo.

Per te è un giorno speciale oggi. Così lo diventa anche per me. Certo, come spesso accade nella vita, c'è un'ombra che mi accompagna. Un evento lieto, e una partenza che era attesa, ma che egoisticamente reputavo eternamente rinviabile.

Novembre è un mese triste per me, non te lo posso nascondere. Ma tu sei una luce birbante mio e non potrò mai esprimertelo abbastanza. Ciao, piccolo. Ops.

venerdì 4 novembre 2011

Asilo, il nuovo reality

Non ha ancora ricevuto la debita, ufficiale pubblicità. Ma da tempo stanno trasmettendo il nuovo reality. Si chiama "asilo" ed è un format internazionale.

Assomiglia in parte a Monopoli, ma è senza colori. Bambini a dire il vero di una altezza considerevole (non tutti) giocano ad affossare o salvare Paesi. Quando un altro - bambino - si ribella, minacciano di buttare tutto all'aria. Intanto, continuano la loro marcia a comprarlo. Dicono si chiami occupazione finanziaria.

Di solito, quando i bambini smettono di giocare, tornano alla realtà e non si accaniscono più contro i loro piccoli amici. Chissà se anche in questo reality funziona così.

mercoledì 2 novembre 2011

Perché mi sento così incavolata?

Tanto che per un attimo ho ondeggiato per utilizzare un altro termine?

Perché si scatena una tormenta di bla bla e intanto sento che sempre di più i nostri - poveri? - Paesi sono ostaggio di poteri, tra l'altro neanche molto occulti.

Mille ragionamenti e discorsi possono portare a questa sottile rabbia che mi rode. Ma nulla pesa come quella sensazione: capire che ancora una volta qualcuno e qualcosa sta giocando con le nostre vite.

A proposito, la prossima volta che sento "bruciati tot milioni di euro sui mercati finanziari", spacco la tv. Bruciati, significa inceneriti. Invece, c'è chi li tiene ben saldi in mano, adesso.

martedì 1 novembre 2011

Extraterrestre, fammi rialzare

Tu quoque, Ace Frehley. Però, pure questa volta ti abbiamo visto ancora in piedi. E' un periodo in cui i nostri musicisti cadono come mosche. Nella doccia, sul o dal palco. Suscita pensieri maligni o realistici, conoscendo alcuni di loro, ma se provi sincero affetto, oltre alla preoccupazione, non puoi che guardare alla fase successiva. Quando si rialzano, si rimettono in pista.

Purtroppo scrivono anche biografie dei loro gruppi - ahi ahi Ace - e questo ci piace meno, perché nessuno è perfetto e vogliamo continuare a credere in brandelli di favole. Ma pazienza.

Vedi, Ace, sei il primo chitarrista del quale - da piccola - ho ammirato intensamente gli assoli. La porta del rock, me l'hai spalancata tu. Poi, il fatto che tu indossassi la maschera dell'extraterrestre mi ha aiutata a tifare per te, perché anch'io avevo tanto bisogno di Spazio.

Poi sono rimasta fedele al credo dei pregiati S&S, Simmons and Stanley:
no drugs or alcohol, only rock'n'roll. Ma l'affetto e la preoccupazione per te sono rimasti.

Sei l'extraterrestre che dalle pene mi portava via. Ora, detesto quando cadi. Ma accidenti, ci vuole grinta ad andare avanti a suonare... E adoro quando ti rialzi.

lunedì 31 ottobre 2011

Un brivido varrà pur qualcosa, Baricco

Si vede che, in ordine, 1) invecchio 2) divento sentimentale (e potrebbe essere guaio collegato alla prima motivazione) 3) mi stavo terribilmente annoiando.

Ma una volta incassati tutti questi alibi, confesso. Ho rivisto per ben due volte Baricco nel video girato a Firenze. Baricco, che - mi perdoni - mi era venuto un pochino a noia. Lui che con pacatezza analizza se stesso e la sua non più giovane generazione, mi ha riportato ai quei giorni in cui ero sì, giovanissima, e faceva affiorare un modo differente di parlare di libri. Non pensavamo di cambiare il mondo, ma solo perché eravamo in altri affaccendati, e lo davamo già per scontato, il nostro potere.

Per un attimo, i piani del tempo si sono sovrapposti, tra malinconia che curiosamente solleticava una nuova grinta verso il futuro.

Vecchietta, sentimentale e così disperata per la noia da interessarmi di nuovo della politica: caro Baricco, grazie, perché un brivido varrà pur qualcosa.

venerdì 28 ottobre 2011

Steven, come back

No, non voglio più vedere quella foto. E neanche sentire analisi o retropensieri sulla tua caduta: Steven Tyler delle mie brame musicali, voglio solo vederti tornare in splendida forma, fisica e psicologica.

Conta vedere che hai sempre voglia di scherzare (ma non con la vita, no more toxic twins or single, please), di lottare e di trasmettere questa tua ironia, arma per gestire meglio questa tribolata esistenza. Anzi, autoironia che è dote ancora più rara.

Quante volte mi hai sostenuto, con la canzone giusta al momento giusto, per farmi ridere oppure offrirmi consolazione. Ho imparato "dai folli e dai saggi", ho cercato di farlo proprio grazie ai tuoi suggerimenti, vedi?

Come back, Steven. And no more holes in our souls.

mercoledì 26 ottobre 2011

Non ci sono più moto e auto di una volta

Per esorcizzare la tensione prepartita, leggo George Clooney. La villa a Como? Fu scintilla per un guasto della moto davanti al cancello.

Mi sovviene di analogo incidente raccontato qualche annetto fa da Savino Tesoro. L'acquisto della Pro Patria? Fu perché forò una gomma dell'auto vicino a Busto.


Io mi chiedo: ma con tutta la tecnologia bisogna arrivare comunque a sentenziare che non ci sono più moto e auto di una volta?

martedì 25 ottobre 2011

Essere una barzelletta non fa ridere

Mi sono rassegnata a guardare un lampo di telegiornale, in questa lunga pausa. Avevo smesso dall'assassinio di Gheddafi - per me si chiama così, che piaccia o no - non perché avessi una simpatia per un dittatore autore di stragi e uccisioni senza fine. Semplicemente, questa fine mi chiariva ciò che avrei dovuto avvertire da tempo dentro di me.

Eravamo - o ci credevamo - la patria del diritto (per questo, immagino, accogliamo un dittatore sanguinario come un amico, poi ci alleiamo con altri contro di lui e stiamo vagamente zitti quando lo uccidono dopo la cattura). Adesso siamo la terra delle barzellette. C'è solo una fregatura, racchiusa in una preposizione: ridono DI noi, non con noi.

Per questo sconvolgo gli amici greci, ma sono convinta di ciò che affermo: tremo di più a vivere e lavorare in Italia, che non in Grecia. Perché là il senso del dramma è devastante, scalcia come un bimbo appena nato. Qui siamo fermi ancora al ridicolo.

Quante volte all'estero mi sono sentita riversare addosso i complimenti per la simpatia del popolo italiano. Se si andava in profondità, quanti poi ti facevano capire che però lavorare con noi destava un certo prurito, eco di un timore.

Ingiusto? Forse. Ma oggi vedo che ancora troppi hanno voglia di ridere, anche perché i loro privilegi non si sfiorano nemmeno. Ci sono brave persone che mettono in guardia, in ogni settore, penso persino in quello della politica e lo dice l'anarchica (pacifica).

Ma pochi sembrano ascoltarli. Forse perché siamo storditi dalla risata che scaturisce dall'ultima barzelletta. Ma quella barzelletta, finale e devastante, forse non ce ne rendiamo conto... rischiamo di essere noi.

martedì 18 ottobre 2011

Manic Street Preachers, talismano anti ex

Avete letto di quel tizio che ha "clonato" la macchina della ex e le ha procurato una marea di multe per limite di velocità superato? Confessiamo che tra amici abbiamo riso e abbiamo anche ammirato - perdono, un pelino - la fantasia di questo signore.

Prima di immedesimarci nella povera signora e di alzare i calici per l'eroe, il cavaliere che esiste in ogni storia, anche moderna: il carabiniere che ha creduto all'innocenza della donna, disperata per quel mucchio di punti che se ne andavano dalla patente.

A tutti quelli che non sono capaci di rassegnarsi, forse bisognerebbe far ascoltare fino allo sfinimento la canzone dei Manic Street Preachers (pure il video non è male): It's not war it's just the end of love.

Ma sì, cavolo, di guerre non ne esistono abbastanza? Quando un amore finisce, non è detto che debba iniziare una guerra. Cantiamoci su.

lunedì 17 ottobre 2011

Onore a Mina, regina antiplagio

I grandi non se ne approfittano. Che lezione, il gesto di Mina che via web cerca l'autore di un brano del suo nuovo cd: le era arrivato un nastro, l'ha arruolato nel nuovo album ma dal demo non si poteva risalire al creatore della canzone.

Embé, direbbero molti nel mondo arraffatutto: peggio per lui, tu approfittane, mica ti possono accusare di plagio.

Lei no. Lancia l'appello su Facebook e vuole rintracciarlo. La banalità del bene, certo. Mina si è "solo" comportata bene. Ma con tutto quello che viviamo, sentiamo e a volte certo esageriamo, Mina ci offre un balsamo prezioso per cui vale la pena ringraziarla.

domenica 16 ottobre 2011

Mick (only) think pink

Nel video dei "Superheavy" si scatena una macchia rosa shocking. No, è lui o non è lui. Già, è proprio lui Mick Jagger.

Mick in completo elegantissimo, rosa. Un colpo al cuore in un universo meravigliosamente nero. Mick, lo sappiamo che sei giovane e birbante, ti prego: non devi dimostrarci nulla.

Pink, your favourite crayon, come canta il tuo rivale di labbra Steven Tyler? Tra l'altro, non alieno ai completini sgargianti.

Oh, come ti rivogliamo dark, Mick. Sembreresti ancora più giovane. Te lo assicuriamo. Basta pensare, in rosa.

Yours, almost faithful(ly)

mercoledì 12 ottobre 2011

La mia nuvola Simona

Esistono nuvole lievi che amplificano la luce o la rendono sopportabile, o ancora deliziosamente diversa.

Oggi vorrei tirar fuori dai miei cassetti i ricordi più belli di una compagna di viaggio ultratrentennale. Non siamo più precisi, dai... Siamo donne.

Oggi compie gli anni Simona e vorrei donarle il mondo. Mentre so che lei chiederebbe molto meno. Lei ha scritto l'anno scorso una meravigliosa favola dove c'era un peluche di nome Nuvola. Dietro, c'era la voglia, la necessità di restare un po' bambine. Oppure rischiamo di perdere molto di noi stesse.

La vita non ce lo permette sempre, ma dobbiamo lottare. Simo, tu sei uno degli esempi più straordinari per me, un riferimento e non te lo dico mai abbastanza. Ti ho conosciuta per i casi della vita - un banco di scuola - e sei rimasta accanto a me, nel bene e nel male. Con gli occhi sempre tesi a scoprire la bellezza della natura, come quando ci troviamo sulle nostre montagne. Ma sei capace di provare meraviglia quotidiana, anche nel cuore della città, quando al mattino vengono a salutarti gli uccelli canterini.

Tu combatti sempre, e non mi hai fatto mancare il tuo sorriso. Sono fortunate le persone che hanno amiche come te e che possono confidare su preziose nuvole.

Buon compleanno Simo e grazie di esistere.

martedì 11 ottobre 2011

Il Cristo Redentore e il mio grande Papà

Il numero protagonista adesso è 80, ma per me resta 222. Il Cristo Redentore - leggo - domani compie 80 anni, un avvio italiano nel mondo carioca visto che le prime lampade vennero accese grazie a Guglielmo Marconi.

Di quella statua e di quell'abbraccio meraviglioso che ti coglieva, sempre più vicino, ho sentito parlare a lungo, nella mia vita. E mai a sufficienza. L'ultima volta pochi giorni prima che tu ne andassi, Papà. Quando alle infermiere raccontavi dei tuoi viaggi, e sceglievi come Paese preferito il Brasile. Ma sì, con quel tuo sguardo birichino dicevi che lì c'erano le donne più belle. Però qualcos'altro illuminava i tuoi occhi in modo speciale e inafferrabile: il ricordo della scalata al Cristo Redentore.

Scalata, sì. Oggi è salita agevole, mi dicono, con i nuovi mezzi. Prima - e sicuramente in quell'agosto del 1965 - 222 gradini. Che tu hai affrontato senza batter ciglio, perché tu nella tua vita ti sei arrampicato dappertutto, con sforzi che mai ha fatto pesare e che pur devono esserti costati tanto. Arrampicato letteralmente. Non metaforicamente come si usa oggi, come si usa forse da sempre.

E forse non ti credevano capace di arrivare fino a là. Ma tu ce l'hai fatta. Perché - credo - il Cristo ti voleva a tutti i costi abbracciare e ti ha dato la forza. E perché tu, quella forza, l'hai sempre cercata.

Auguri a quella grande statua. E un bacio al mio grande Papà.

lunedì 10 ottobre 2011

Tassisti, dalle fave alle lacrime

Il grande Nicoletti alla radio mi fa tornare indietro nel tempo, e nelle città. Oggi - mi duole ammetterlo - ho un rapporto spesso conflittuale con i tassisti, quando li vedo comparire nello specchietto retrovisore o a fianco. Perdono.

Allora, intingo il ricordo in due incontri mitici! Primo, a Roma. Torno dall'esame di giornalismo e mi raccoglie - quasi con il cucchiaino - un tassista che pregusta la festa del Primo Maggio. Mi interroga - aiuto - questa volta sulle ore trascorse, quale prova ho sostenuto e via dicendo... Quando scendo, mi mostra il bagagliaio traboccante di fave per il picnic. Come pegno di amicizia, me ne offre una e riparte.

New York, qualche annetto dopo. Ho un hotel nuovo di zecca, così nuovo, che il tassista, proveniente da zona extra Manhattan, non lo conosce. Gira, suda e dopo un eterno girovagare si blocca: in lacrime, confessa di non avere la più pallida idea di dove sia questo albergo. O meglio, mi dice il signore (sì, mica era un ragazzino): dev'essere da queste parti, ma non so raggiungerlo, la prego, scenda, prenda un altro taxi e non mi paghi, non lo merito.

Ricordo che ho dovuto fargli pat pat sulla spalla e cercare di rimotivarlo, ma nulla da fare, era distrutto. Allora sono scesa mestamente con la valigia e l'albergo me lo sono cercata a piedi. Dopo avergli pagato la corsa: ma lui ha preteso almeno lo sconto.

sabato 8 ottobre 2011

Where's Ozzy?

Reunion o no reunion? Questo è il problema. E questa volta tocca a Ozzy Osbourne e ai Black Sabbath. Analizzo su Billboard il clou della questione. Ozzy pare, forse... dichiara, che si tratta di "una possibilità molto forte". Per riunirsi, forse bisognerebbe comunicare meglio, viene però da osservare. Perché Tony Iommi (uno dei più musicali cognomi della storia del rock, lo vogliamo dire?) getta acqua sul fuoco.

Sarà solo strategia? L'unico sogno nostro è che se Ozzy riaccendesse il sogno dei Black all together, direbbe addio anche alla serie tv sulla sua famiglia. Perché quando lo guardiamo lì, ci viene una sana stretta al cuore.

Where's Ozzy? E' quel signore che ondeggia, barcolla, che è anche tenero, ma non il nostro cattivone del rock? Lì vediamo il regno di Sharon, l'ottima Sharon per carità.

Ozzy torna con la tua famiglia rock. E lascia la tua adorabile famiglia naturale fuori dal set, ti prego!

giovedì 6 ottobre 2011

Giochi senza frontiere: come mi sentivo europea

Nel fiume del doveroso e sentito omaggio a Steve Jobs mi commuovo per un rivolo che viaggia per la propria strada. E' morto Guido Pancaldi, e quando accostano il suo compagno di avventura, Olivieri, il ricordo si illumina: Pancaldi e Olivieri, Giochi senza frontiere!

Ero una bambina e mi trovavo estasiata in quel viaggio alla scoperta di un mondo, ovvero l'Europa. E quei due volti simpatici, arbitri di precisione e allegria, mi annunciavano l'esito della gara di turno. Mi tenevano incollata al televisore, con il mio tifo piuttosto fedele.

Sì, perché allora ero filo olandese, per varie ragioni, e il calcio mi confermava. Ma scoprivo anche la Jugoslavia, per un certo periodo, e si respirava un'atmosfera davvero da Olimpiadi. Da competizione sì, però per conoscersi e crescere insieme.


Oggi... mi sento così poco europea in confronto ad allora. Questo contenitore mi suona troppo spesso vuoto, al limite con un tintinnio di euro.

Allora mando un bacio lassù a Pancaldi e Olivieri, impegnati in un nuovo arbitraggio, che si chiami Giochi senza nuvole o in altro modo non importa. Là davvero si è cittadini del mondo.

lunedì 3 ottobre 2011

Gene, Shannon e il futuro

La capacità di cambiare d'idea o la pazienza? Oppure è solo lo show?

Non lo so, non mi interessa e so già che qualche amico alzerà gli occhi al cielo vedendo che ri-sfioro l'argomento "matrimonio di Gene Simmons".

Mondo Kiss... lasciatemi distrarre un attimo vi prego... Sapete anche voi che il mondo è un casino, e l'Italia mi fa venire un acuto mal di stomaco. Adesso poi c'è l'accanimento terapeutico verso la Grecia, che certo tagliando 30 mila statali risolverà gran parte dei suoi guai, anche se ci saranno 30 mila famiglie che potranno fare meno acquisti, I guess.


It's over, allora guardiamo alle nozze, dai. Dopo lo sconcerto iniziale - quante volte Gene Simmons aveva bacchettato noi fans quando osavamo buttare lì il timido invito "Sposatevi dopo quasi 30 anni dai..."? - accontentiamoci di questo fatto. La signora Shannon Tweed ha avuto più pazienza di Giobbe, e Gene ha cambiato idea. Solo gli scemi non lo fanno.

Unico più fatto più degno di nota? Che il figlio di Paul Stanley, Evan, abbia suonato la chitarra, e il figlio di Gene Simmons, Nick abbia lanciato "Roadhouse blues" (yes, open the Doors). Che il futuro, in barba alle nostre resistenze, ai nostri pasticci, alla nostra testardaggine, ci trascini sempre in qualche modo.

Lo show deve andare avanti. E qualcuno che suona, lo troveremo.

lunedì 26 settembre 2011

Del pane: ama la terra come te stesso

Di alimento in alimento: la festa del pane a Savigliano mi ha svegliato dal torpore, un po' come il profumo delle brioche che sale la mattina dal bar qui sotto. Il tocco speciale viene dalla lettura di un intervento di Enzo Bianchi, che leggerei all'infinito.

Prima di tutto, l'urgenza del comandamento che raccomanda: "Ama la terra come ami te stesso". Un invito forte a imboccare un'altra strada, in questa terra madre più che mai. E più maltrattata che mai. Jim Morrison lo cantava 40 anni fa: che cosa abbiamo fatto a questa terra? Che cosa continuiamo a fare...

Intanto sogniamo un sapore puro e primordiale: avessimo la forza di fermarci un istante a spezzare il pane, e a non ingurgitare sfrontatamente, senza riconoscerne le sfumature, "tanto è pane". No, per fortuna è pane. Prezioso, morbido e raro, perché una marea di persone non ne hanno. Gli stessi che dovremmo amare come la terra, come noi.

domenica 25 settembre 2011

I Pink Floyd e il cuoco della nave

Le canzoni da autostrada si rincorrono: grazie Andrea, grazie Maurizio, grazie Riccardo e ciascuno di coloro che stanno partecipando a questo viaggio musicale. Finito questo round, compilerò un’altra serie con le vostre canzoni e rilanceremo la sfida.

Questa mattina, impegnata nella lettura dei giornali preferiti the very next day, rimango però folgorata da un cuoco della musica, che ha viaggiato a lungo su una nave: quella dei Pink Floyd.

Oggetto, l’opera omnia ovvero “Why Pink Floyd”. C’è già da naufragare dolcemente in questo mare. Sapore ancora più spettacolare, l’intervista sulla Stampa a Nick Mason. Così pacato, quasi dimesso e poi folgorante. Il suo passaggio su Syd Barret: la chiave di ogni domanda nella vita, che deve subito ritirarsi per non affondare nella ricerca di un senso. La resistenza ad affrontare questa opera omnia, salvo poi “eccitarsi” ascoltando le vecchie - che termine maldestro – canzoni.

Infine, la splendida metafora usata da Mason: “Mi sento come il cuoco della nave, quello che comanda di meno ma sfama tutti”.

Quanti cuochi della nave, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle compagnie… Nella musica.
Chi è, secondo voi, il cuoco della nave simbolo della musica? Le mie idee ondeggiano. Nei Beatles è davvero stato George Harrison? E qual è il cuoco dei Doors, ad esempio? Nei Led?

Aspetto le idee degli amici e di chi trae alimento giorno dopo giorno dalla musica.

sabato 24 settembre 2011

Cercasi una canzone da autostrada

Brunello mi sgrida perché "Hey Jude" non è puro spirito beatlesiano, né rappresenta il top dei Fab Four. Però sai come scivola bene sull'autostrada?
Sì, è nella mia compilation delle "better highway songs", perché rende meglio sulle lunghe distanze, piuttosto che nelle concitate strade delle città. Specialmente sul finale: senti la tensione che si allenta.
La supera per me "L. A. Woman". Un po' perché Jim Morrison scorre nelle mie vene più dei Beatles. Ma c'entra il ritmo che si trasforma: prima senti il morbido pneumatico che accarezza freneticamente l'asfalto, poi rallenta, infine si impenna.
Una canzone da autostrada per definizione è "Detroit rock city" dei Kiss, ma finisce male e purtroppo non è neanche inventata: quindi meglio scartare.
Ammetto che "Raised on rock" degli Scorpions induce in tentazione, quasi quanto "Sympathy for the devil", che a me dà più gusto - chiedono perdono - in stile Guns'n'Roses che in pura salsa morrisoniana.
Ma se vogliamo cambiare marcia e ritmo con garbo, che dire della "Bohemian Rhapsody". Ahi, vorrei che questo viaggio non finisse mai, quasi quasi.

giovedì 22 settembre 2011

Tacco e smacco ai fornelli

Relax, il mare si divide nei rivoli dei programmi di cucina.

Provo a osservarti, cara Benedetta, ma cavolo, come posso immedesimarmi in te? L'abito bianco in cucina... Scusa, a me si insozzerebbe in tre istanti con quel sugo, anche soltanto per la legge di Murphy. E il tacco dodici - penso - di quelle scarpe scarlatte? Mi vedo già scivolare maestosamente per terra, con la cena intera. Che smacco: ragazzi, stasera tutti in pizzeria.

Ok, resta lì, sei troppo distante. Sarò fuori moda e non capirò nulla. Ma a questo punto girovagando con il telecomando preferisco lei. Antonella. Guarda che vestitone, guarda: si sta mettendo pure il bavaglino.

Già, siamo donne e il bello dei fornelli è anche sporcarsi. Se possiamo permettercelo.

martedì 20 settembre 2011

Le strane coppie

Va bene, oggi sarò affetta da "ipernaturalismo". Ma stavo osservando le mie due famiglie preferite del giardino, che mi stanno regalando gioie inaudite.
La sorpresa settembrina è l'ortensia. Aveva fatto la bricconcella tutt'estate, rifiutandosi di trascorrere le vacanze con noi. Chiusa nei suoi boccioletti striminziti, quando poi aveva voglia di farseli venire. Con quel caldo, siete matti, brontolava.

A settembre ecco il prodigio: è esplosa con tutta la sua naturalezza, il pervinca superato solo dalla sua morbidezza, roba da stare ad accarezzarla per ore. Sport preferito: fotografarla appaiata con i fiori rossi che riposano sotto il castagno.

L'altro matrimonio è di quelli che dovrebbero insegnare tanto agli umani. Anche l'acero è finalmente esploso, solo che originariamente sotto di lui si era insediata una rosa che pareva aver i giorni contati. Col cavolo. Lei piano piano è risalita e ha messo il crapino fuori. Ha pensato: che vita fantastica, sto con il corpo riparato e posso invece guardare il cielo in piena libertà. Un altro fiore si è affiancato alla rosa originaria. Quando il fulmine si è abbattuto sul cancello, è scoppiato il muro di cemento. A mezzo centimetro c'era il tenero fusto della rosa che non ha mosso neanche mezza spina. L'acero ha accettato questa soave compagnia, e lei l'ha ripagato mettendo certe foglioline strane... quasi rosse. Dal canto suo, l'acero ha qualche sospetta traccia di verde nella sua scarlatta chioma.

Quanto avete da insegnarci, ragazzi.

lunedì 19 settembre 2011

Cento anni da regina

Solo un lampo in un giorno glaciale per abbracciarti e ricordarti che da cento anni sei una regina. La nostra regina.
Non importa se qui sei stata poco, o semplicemente non abbastanza, ammesso che esista un "abbastanza". Non importa se ormai una parte notevole di questo secolo l'hai trascorso apparentemente lontana, con il tuo sguardo color cielo.
Che tu fossi era una regina, era chiaro già dal tuo nome (Argia, scelse tua madre, divoratrice di libri), e quando sei cresciuta, ti sei meritata anche il soprannome di Perla. Poi - più prezioso ancora - l'amore del nonno.
Cento anni fa tu nascevi e io volte cerco in me i tuoi tratti, ma sono solo una principessa degli stracci. Tuttavia ti sento dentro di me, e ti avverto sulla mia pelle chiara; ora sorridi alle mie lentiggini, regina fiera.
Buon compleanno, con il tuo re.

domenica 18 settembre 2011

Fonzie, the book and the cover

Never judge a book by its cover, mi canticchia il mio amico di lunga data (lunga sua) Steven. Sì, Steven Tyler, of course.
D'accordo, Steven, ma guarda un po' Fonzie. Dai te lo ricordi anche tu, io andavo praticamente all'asilo... tu almeno al liceo, non mascherarti dietro le mèches.
Il personaggio sembrava un duro, ma non ingannava nessuno. La sua giacca di pelle era morbida, come il suo cuore. Ok, non riusciva a dire scusa, ma almeno una o due lettere provava a pronunciarle.
That was the cover. E il libro? Meraviglioso, quello scritto in questi anni da Henry Winkler. E ora è pure baronetto! Questa sì è una cover, perché può non significare niente. Ma vedi come si impegna per il sociale, e se pesca, risparmia i pesciolini alla fine. Ah, giorni felici!
Che c'è, Steven, non abbocchi? Dai che hai un cuore d'oro pure tu, dovresti solo mettere la testa a posto.
Intanto prova a ripetere con me: sir Fonzie. Suona quasi meglio di sir Winkler.
Comunque, un libro tutto da leggere e rileggere. Adesso cantami "Full circle", Steven, perché Fonzie è un'eccezione e purtroppo dappertutto si ha la dannata tendenza a nutrirsi di copertine. Canta, per favore, così in qualche modo crediamo che un giorno tutto tornerà.

mercoledì 14 settembre 2011

Pif-finho, meno male che ci sei tu

La mia ammirazione per il Pif è dichiarata, e quando vedo una sua puntata de "Il testimone" e posso fermarmi, lo faccio senza esitazioni. Perché la sua è vera inchiesta giornalistica, con coraggio, con ironia, con leggerezza che non vuol dire fermarsi alla superficie, anzi. Ti rimane tutto sotto pelle, sospeso tra il sorriso e il disagio.
E' poi ancora più raro che avverta questo bisogno di fermarmi, quando la puntata è una superreplica. Ma quei bambini di strada in Brasile, guidati da un pallone che è una speranza, o soltanto un sogno, non vanno solo visti. Vanno rivisti, riascoltati, abbracciati. Li hai conosciuti nelle favelas, li vedi in palestra e poi nel campus della Roma. Ti aggrappi alle loro storie e vorresti sognare, come sembra volere Pif.
Pif-finho o come diavolo si scriverà, non importa. Facci sempre sognare, con quel sottile senso di disagio, finché troviamo la forza di cambiare qualcosa, a partire da noi e dalle nostre illusioni.

lunedì 12 settembre 2011

Nanni e il treno che torna

Due giorni senza televisione sono una delizia, ma va a finire che poi il vero vuoto ti appare quando ritrovi un apparecchio davanti. Per fortuna, viaggi su Raistoria in un'ora socialmente morta, e trovi Nanni Loy. Che in verità in famiglia lo sopportano in pochi, però riguardandolo - sarà il fascino del bianco e nero, suvvia - ti conquista come l'apparizione più interessante di tutta quella fascia serale. Perché dei tg ti sei stufato, il calcio è meglio dimenticarlo (fosse anche andata bene, dei commenti drammatici su una situazione ridicola non sai più che fartene) e i quiz sono così assurdo specchio dell'attualità: adesso ti devi sforzare pure di dare la risposta sbagliata. All'inizio pensavo fosse una gag copiata da "sei uno zero".
Nanni Loy appare e scompare. Prendono sullo schermo il suo posto volti di italiani, dalle Alpi a Lampedusa. E ti fanno venire in mente un treno, quello per Strasburgo, preso una decina d'anni fa. quindici, dai. C'erano tanti, tanti emigranti. Gente che per lo più andava a Mulhouse o Strasburgo. Volti affaticati, voglia di parlare, di ridere sdentati e di riabbracciare figli e nipoti. Gente divisa tra il paese e la città, tra il caloroso vuoto e il freddo correre.
Volti ansiosi di condividere. Oggi li rivedi forse sui barconi, o negli angoli della città. Ma ci sono ancora. Senza Nanny Loy.

domenica 11 settembre 2011

E io difendo Barbie Girl

Ma dai ragazzi, non si può neanche scherzare? Sobbalzo alla classifica delle peggiori canzoni degli anni Novanta, stilata dall'autorevole Rolling Stone. Come, the winner is... Barbie Girl.
No, io non ci sto, sfodero risposta canterina da rapper. Non è solo "per fatti personali", tipo che quella canzone ondeggiava al matrimonio della mia sorellina greca a Parigi, quindi è nella top ten dell'album familiare. No, il punto è un altro. Per quanto danzereccia fosse, era o mi sembrava una parodia. Che andrebbe benissimo persino nel 2011, dove tante si ostinano a fare le Barbie (per non parlare dei Ken), mentre il mondo reale si affaccia sul baratro, affezionato alle involuzioni della finanza e ormai non solo, e anzi ci ha messo anche un piedino dentro.
E noi che facciamo, buttiamo via l'ironia? No, io difendo "Barbie Girl", perché se non altro non si prende sul serio. E perché forse una risata ci seppellirà.

sabato 10 settembre 2011

Patti e l'amore sviscerato

(dedicato ad Andrew)

Il mio vecchio (not talking about age, of course, non è nel mio interesse!) compagno di scuola non ci crederà, ma nel mucchietto di bigliettini scambiati negli anni tosti, ovvero dalle medie al liceo, c'è anche un testo vergato frettolosamente da lui o mano comunque amica: è quello di "Pissing in a river" di Patti Smith. Mi è esploso come un flash nella mente oggi, mentre la strimpellavo al piano. Quella cassetta ce l'ho ancora, dear friend, con il testo rosa infilato dentro.

Ai tempi ero convinta anche che si trattasse della più straordinaria canzone d'amore mai scritta. Sarà stata un periodo sfigato, mi sussurra qualcuno al mio fianco. Comunque l'opinione si è poi ridimensionata sul messaggio in sé, più che altro perché dopo i primi sbandamenti della vita, di piangere tanto per qualcuno che ha levato le tende, non mi è più venuta voglia. Però resta un capolavoro, a partire dal suo coraggio linguistico. Alla faccia del mio presunto maschilismo ammiro Patti Smith per questa canzone. Perché quando ti chiedono "Mi suoni una canzone d'amore", tu rispondi: ok, "Pissing in a river", e ti guardano storto, anche i più alieni alla comprensione dell'inglese.

Accostare un atto di liberazione... idrica all'amore, per quanto si affacci un poetico fiume, è tutto tranne che romantico. Forse perché l'amore, quello reale, non lo è affatto, ma questa è considerazione da cioccolatino per cui me la rimangio immediatamente, con tanto di carta per punirmi.

Certo, decenni prima, concludeva con tale gesto - e sembrava epico - una poesia Arthur Rimbaud. Tra l'altro, era l'"Oraison du soir", preghiera che partiva da una visione quasi angelica e sgorgava - ça va sans dire - in un simile atto liberatorio, approvato dai grandi eliotropi. Ma Patti è una donna, quindi se permettete occorre un pelino di coraggio in più a iniziare una canzone così; persino il movimento in sé è un tantino più complesso. Tra l'altro sì, inizia ed è un pugno in faccia: pissing in a river, e subito dopo la visione "guardandolo crescere". Sorry?

Diventando adulti, o almeno provandoci, non mi sono trovata sempre d'accordo con lei, per fortuna; significherebbe che siamo rimasti quegli adolescenti aggrappati a frasi e fraseggi per navigare nel mondo, costretti a riflettere su Patti, Jim, John e via dicendo, tramite i nostri bigliettini che parevano frettolosi ma erano sempre più precisi degli appunti che in contemporanea cercavamo di prendere durante la lezione.

Tuttavia, Patti è quella visione ribelle, quell'urlo di "Rock'n'roll nigger", quello schiaffo di "We three" e persino il passaggio di devozione totale - sempre più malinconica fino e oltre l' addio - a suo marito. Patti è avere voglia, anche solo un giorno, di danzare a piedi nudi, che sia in corso un inno rock scatenato o una traccia di valzer. E di liberarsi di vani pudori: "Le mie viscere sono vuote, espellendo la tua anima".

venerdì 9 settembre 2011

11 settembre: Rossella, Rudy and I

Dell'11 settembre conservo frammenti di ricordi visivi, uniti da un atteggiamento rosselliano. Sì, quel giorno più che mai mi ispirai a Rossella O'Hara e mi tenni alla larga dalla televisione, troppo dolore. Erano già poco sopportabili gli aggiornamenti delle agenzie. Ci ho messo addirittura qualche mese a guardare un mezzo documentario, sfuggendo come una bambina e fissata a quella morale "Domani è un altro giorno". Certo, dentro di me esplodevano fiamme di emozioni e riflessioni che mi avrebbero anche condotto in un viaggio fondamentale, personale e non solo.

Oggi mi ritrovo ancora a restare lontano dalla sostanza di quella giornata, immersa in una concentrazione di preghiera, e contemplare un piccolo grande episodio da allora celebrato sulla parete di casa. Un vetro semplice, sul cui sfondo c'è la foto di un pompiere che alza la bandiera americana. Lì ho adagiato un messaggio che, appena ricevuto, ho guardato, rigirato, riesplorato con gli occhi incredula, nel novembre del 2001. Avevo mandato, in quei devastanti giorni, un messaggio di cordoglio e di affetto in Comune a New York: mail o fax, non ricordo. Sono una grafomane e tanti hanno compiuto questo gesto, non fa notizia.

Fa notizia invece - tanto più in un Paese come il nostro - che il 27 novembre mi arrivi una lettera a casa. Apro e leggo questo messaggio: Cara Miss Lualdi, grazie per la sua recente lettera. Il suo sostegno è particolarmente significativo per noi in questi tempi difficili, e le sono grato per le sue parole gentili. Spero che presto lei possa visitarci a New York City. I miei migliori auguri". Già era tutto bizzarro, vederci sotto la firma di Rudolph Giuliani, even more.javascript:void(0)

Con tutti i guai che hanno - mi sono chiesta - si sono messi a rispondere a tutti i messaggi? Ero stravolta e ho pensato a tutte le volte in cui scriviamo al settore pubblico per problemi e pratiche che ci affliggono. Scriviamo, in Italia, per ottenere spesso 1) risposte tardive 2) risposte imprecise 3) risposte zero.

E mi sono detta, o my God, Rudy, ma in quel Paese, contraddittorio, folle, dai mille volti gradevoli e sgradevoli, fate sul serio.
Naturalmente, pochi mesi dopo mi sono messa in viaggio verso Nyc. Non vorrete mica scherzare, con Rudy. Obbedisco.

martedì 6 settembre 2011

Hard days without my Talisker

Già, giorni orribili: la bottiglia di Talisker è ancora confezionata, eppure mi avrebbe aiutato - quel dito minuscolo e incommensurabile di whisky - a ragionare per distrarmi. Solo a guardarla mi viene in mente un episodio che si innesta sulla riflessione fatta recentemente dal mio compagno di incursioni musicali. Ma sì, è un tarlo che ho in testa da qualche giorno, ne ho già parlato. Sono musicalmente maschilista? A parte Patti Smith, non ho un mito musicale femminile. E Patti, diciamocelo, è un uomo, e così le faccio un complimento, quindi mi sento in colpa.
Ha ragione il mio amico. Il Talisker, che in questi giorni non posso bere, occhieggia e lo detesto per un attimo, perché mi va venire in mente un episodio di cui andavo pure fiera.
Edimburgo, piovoso - figurati - luglio. Torniamo in albergo, due miei amici e io ci fermiamo al bar. Uno si prepara a ordinare acqua, l'altro cherry dolce. Ma sono cavalieri e lasciano la parola a me. Io prendo un dito di Talisker, per sognare meglio. Il barista mi chiede: with ice? E io rispondo di no, con reale espressione scandalizzata, perché il ghiaccio non mi piace nel mio caro whisky. Il barista mi guarda con ammirazione e dice agli altri avventori: She's a real man. La tragedia è che a quel punto uno degli amici si sobbarca l'acqua con aria umiliata, e l'altro chiede lo sherry. Ma cogliendo l'espressione disgustata del barista, precisa: secco, please.
Non provo più orgoglio, adesso. Penso: sarò mica maschilista davvero, e non solo musicalmente? Proprio io, che mi incavolo come una biscia, quando mi trattano da femminuccia.
Ah, questa riflessione ha bisogno di un Talisker. Vero, non solo da guardare.

lunedì 5 settembre 2011

I wanna be a ZZ Top

Ringo mi spalanca la porta ancora una volta sulla - vecchia - America e mi sento spinta da un impulso irresistibile: I wanna be a ZZ Top.
Il mio compagno di incursioni musicali mi ha lanciato un monito, che ora soppeso. Guarda che sei - musicalmente - maschilista. Magari non solo con le chitarre in mano - concedo - in questo periodo molte donne mi annoiano, perdono.
Però pensa che vita fantastica, se sei un tipo ZZ Top. Hai questa barba che ti copre tutta la noia che puoi provare per il mondo, questi occhialoni che sfidano i segni di notti sfatte o di fastidiosi pensieri (magari anche da sballo, che ne sai) e soprattutto non te ne frega un beato tubo delle vanità attorno. Ma è vero che l'unico senza barba si chiama Beard? Meraviglioso. Ma è vero che hanno rifiutato di radersela, quella barba, di fronte a un'offerta milionaria di una casa produttrice di rasoi? Mi inchino. That's coerenza.
Morale, sono costretta ad ascoltare le loro canzoni, perché da guardare non c'è niente (mica puoi contare tutti i peli della barba, corri pure il rischio di addormentarti), e mi sento una donna di frontiera. Sì, via dalla fiera delle vanità.
Se la vita è una barba, meglio dichiararlo subito. Oppure anche solo fare finta.
It's a life style, baby. Vivi al confine e non inchinarti davanti a nessuno. E se sei una donna e quella barba te la sogni, inventati qualcosa.

domenica 4 settembre 2011

La maledizione di Jersey Shore

Già solo per il fatto che ne sto scrivendo, picchio la testa contro il muro. Oh my God, ci sono ricascata. Per ben due volte in pochi giorno ho sbirciato quell'ammasso di muscoli lampadati, lacca e gel a gogo, indigestioni di cibo e musica che si chiama Jersey Shore. Di più, una volta ho portato inconsapevolmente mamma davanti al video e ho sentito che rideva.
Per disgusto, si intende. Molti di noi si disgustono e poi guardano, anche solo per scuotere il capo. Per salvare la faccia, si pongono profondi interrogativi. Che poi aleggiano nell'aria a lungo.
First of all, le unghie rifatte. Sono nate prima loro o "mi spiace, le pulizie non posso farle?". Nella casa del grande tamarro ce le hanno quasi tutte le girl; poi i maschi si lamentano che le ragazze non puliscano (e non è che ci sia la corsa ai fornelli). Per forza! Già è un casino compiere un sacco di altre operazioni, vuoi che si mettano a lavare? Io adoro lo smalto, ma dovendo ahimé lavare i piatti e fare i mestieri - myself, and I'm proud of it - lo uso raramente. Che fare con quelle unghie finte e intoccabili? Ragazzi, cercate di capirle...
E poi anche voi maschietti, porca miseria. Possibile che contino solo palestra e lampade. Poi mi guardo in giro, nel Northern Italy Shore e vedo che anche mister Radical Chic ha bisogno di una bella abbronzatura artificiale, altrimenti è a disagio.
Per fortuna, ci sono Sam e Ron che si lasciano e si rimettono insieme più veloce della luce. Questa sì che è notizia.
Ragazzi, vi volete decidere una volta per tutte, così cambiamo copione?
Oh my God, sto parlando ai protagonisti di Jersey Shore. Era meglio discutere con il mio amico immaginario.

venerdì 26 agosto 2011

Forza, Nyc. Anche per l'angelo di Battery Park

Irene incombe, e ascolto la voce del presidente Obama. Ma è l'ordine di Bloomberg a gelarmi il sangue e i ricordi: evacuazione obbligatoria di diverse zone, tra cui Battery Park.
E' strano, forse anche un po' folle, pensare a quel luogo ormai diversi anni fa a New York. Era un giorno meraviglioso di turno, avevo appena pranzato con Francesco sbirciando l'acqua amabile. Leslie mi rincuorava al telefono e mi aspettava il traghetto. Di lì a poco avrei vissuto un momento delizioso, tra le piccole onde buone e sopra un gabbiano che seguiva discreto. Era il sapore della libertà.
Ma in attesa del traghetto una signora bionda si sedette accanto a me su una panchina. E io da brava italiana diffidente pensai: sarà mica una rapinatrice o una folle. Invece, lei parlò rischiarando ancora di più la giornata con un sorriso. Una donna come tante, che proveniva dall'America più profonda ed era felice di essere a New York, in viaggio con il marito e i figli. L'Italia, l'Europa, luoghi che facevano sognare, irraggiungibili. Lei si informava, si raccontava, parlava di Gesù, della sua famiglia.
Send me an angel, gracchiava la radio dopo l'incontro. Ma io l'avevo già incontrato. Un angelo come tanti, e speriamo che tanti veglino su New York, già abbastanza ferita, sul suo sguardo solo apparentemente disincantato, che viaggia tra l'acqua e il cielo, senza fermarsi mai.

giovedì 25 agosto 2011

Gene, is that you? Happy... days

You're right, Gene. You're always right, 'cause you never look for easy approval. That's what I feel, even today. It would be a special day (your 62° birthday)but you - Gene Simmons, the Kiss Demon - think that you must celebrate every day on earth. And you see, you're right again.
Yet this should be a special birthday - we guess - as after so many years you asked Shannon to marry you on tv. We were all shocked. Some are delighted, some wonder: but what's Gene doing? He kept telling us: I'll never get married.
Tv show or reality? We don't know of course. And it doesn't matter. I must confess your so called new opinion about marriage didn't really impress me, one is free also to change his mind. But something else did: your eyes, when you were on your knees watching Shannon. Is that you, Gene? You've always been able to surprise us. And you're soooo right, this time as well.
Happy birthday and happy every-single-day-on-earth. Also your wedding day.

giovedì 18 agosto 2011

New ecology

Sotto il castagno ho pensato: "Devo scrivere con rispetto". Ho riposto il pc ed estratto uno dei meravigliosi blocknotes dal cassetto.
Lui, che si è appena rifatto una chioma dignitosa dopo la solenne potatura dello scorso inverno, mi ha osservato stizzito. O meglio, ha lanciato un'occhiata malevola al mio strumento cartaceo: "Fantastico, mi vieni sotto il naso a scrivere sulla mia pelle?".

sabato 16 luglio 2011

La sottile arte del porridge (sit down and eat)

A casa mi puntano il dito contro: perversione! Ma l'arrivo del porridge si è trasformato in una piccola lezione di vita. Mica per niente me l'ha mandato un'amica insegnante.
Can you remember? Ma sì, ricordi quando eravamo da Nan e Alex anni fa e lei preparò il porridge sulla tavola deliziosamente imbandita? Si aspettava di vederlo tornare al mittente, come sempre quando sfrecciano da queste parti gli italiani. Malu no... non si sottrasse all'assaggio e divorò tutto.
Così Robbie è precisa anche nei ricordi e quest'anno mi spedisce una deliziosa confezione. Libidine che solo dal Fife poteva arrivare. Avena dei miei desideri e della serie "Se siete imbranati non è colpa nostra, ma vi aiutiamo ugualmente" con le fantastiche buste separate, della misura esatta del latte necessario per preparare il piatto.
Fosse solo questo, potrebbe essere perversione e basta, come mi ricorda sempre quell'indice puntato. No, è che troppo spesso faccio colazione in piedi. Con il porridge non si può. La scusa ufficiale è che è Scottish, cioè no, scotta la ciotolina (no darling, non è quella del cane, non puoi capire) e quindi sedersi è un must.
La realtà è che le perversioni vanno gustate con calma. Come la vita, of course.

lunedì 27 giugno 2011

La favola di Violetta e di chi la segue

Violetta arriva con la sua grazia, in un castello che mi appariva misterioso fin dall'infanzia e invece ora con eleganza apre le proprie porte. Arriva elegantissima, si fa corteggiare e si ammala di amore: i sintomi già si colgono dalla gioia timida, che quasi le impedisce di affacciarsi al balcone per udire pienamente la voce di Alfredo. Lo vorremmo fare noi per lei, tuttavia restiamo immobili e rapiti.
Violetta e Alfredo - ma anche il padre di lui, Giorgio - si fanno seguire nel salotto, nel cortile che proietta una casa di campagna nei dintorni di Parigi e infine nella stanza semibuia dove l'amore viene riunito e si dissolve nell'eternità. Vibra il pubblico... non si possono chiamare spettatori, coloro che vivono questa esperienza, perché tra le note irresistibili di Verdi e le voci avvincenti degli interpreti si diventa protagonisti, si sorride, ci si commuove. Fino al colpo di grazia, quando Violetta viene meno lì, davanti a te e ti assale il bisogno di allungare le braccia e cercare di rialzarla, per restituirla al cuore di Alfredo.
In tutta questa magia, se ne insinuano di altre. Il grande protagonista silenzioso, il castello di Massino Visconti che accoglie, scandisce e osserva ogni momento, in scena e fuori. Ma anche altre piccole magie, che fanno meno rumore eppure sono ugualmente importanti. Come la passione e la determinazione della "Voce all'opera" e di Gianmaria Aliverta che osa affrontare questa scommessa, far gustare la Traviata in un modo così insolito, e altre ancora. Come questo impegno di un gruppo di giovani e meno giovani, che credono nella cultura e seminano la loro dedizione in una zona incantata, da scoprire o riscoprire.
Tutti sono da applaudire, quelli che compaiono in scena, a partire dai tre artisti, Myung Yeoun Zoo, Giuseppe Veneziano e Federico Longhi. E la pianista Eleonora Barlassina, il regista Federico Vazzola, la mitica Fiorella che viene chiamata a fare la parte della domestica e assiste Violetta, lei che ha meravigliosa voce da soprano.
Quando si affaccia il tramonto, c'è un unico desiderio: ancora, ancora al cospetto del castello sbirciando la rocca di Angera e pronti a seguire un'altra favola.

mercoledì 1 giugno 2011

Bette Davis, tante e unica

Giornate travolgenti, roba che neanche un goccio di Talisker (sorry, I'm not a real man tonight, with ice please) riesce a trasformare in base per il sonno. Allora, come un avvertimento, sullo schermo si stampano due parole: Bette Davis. Un fremito e sai già che sarà una lunga notte, per cui speri almeno che ti attenda solo un film, mica una rassegna: altrimenti chi ti stacca più?
Auspicio realizzato, peccato però che la faccenda sia per cuori particolarmente robusti: arriva non Bette Davis, bensì due.
Lei dolce, troppo buona, provata da una vita di sacrifici e dalla subdola arte dell'altra. Anche l'altra è Bette Davis: egoista, avida e superficiale. Sono uguali sullo schermo, eppure gli sguardi sono opposti. Bette Davis eyes, la canzone ti rimbomba nelle orecchie.
Quegli occhi ti incatenano, e ti riportano a film lontani. In cui era innamorata, crudele, tenera, agguerrita. O a film più recenti, che però ormai hanno assunto il sapore della distanza temporale: vulnerabile, impietosa, spaventata, pericolosa. Agnello o tigre, non ha importanza.
Guarda, anche Christian sta seguendo "Chi giace nella mia bara". Sarei pronta per una rassegna ora, pescando fin dai primi passi, quando era seducente, se lo voleva. Altro che "fascino di Stanlio e Olio", come qualcuno aveva sentenziato all'inizio.
Sono gli occhi di Bette Davis che ci stanno seducendo, incastrando, togliendo il respiro. Commossi dall'agnello, allertati dal guaguaro, in fuga dietro a un cuscino per la tigre: siamo qui per loro. Sono gli occhi che non si vergognano di rivelare la loro età, e per questo sono così straordinari e avvincenti.
La plastica non è ancora arrivata e ci sentiamo proprio bene. Guarda, la Bette Davis assassina, che era così buona, sta accarezzando un cagnolone che odiava la Bette Davis ricca e svogliata: l'animale riconosce il cuore. Noi riconosciamo i suoi occhi, così capaci di cambiare, e di restare irrimediabilmente se stessi.
Quante Bette Davis, per una donna unica.

lunedì 30 maggio 2011

Grease, in dissolvenza con Jeff Conaway

Un pezzo di Grease in dissolvenza. E Grease, che cos'era: un sogno, forse nemmeno nostro, ma dal sapore così accattivante persinoo per chi non ama masticare un chewing gum. Jeff Conaway non era la spalla di Grease, e non solo perché la parte di Danny sul palcoscenico era stata sua. Poi era diventato il "secondo" , la spalla, quello che non ottiene il primo piano sulla locandina. Ma Grease non erano solo Danny e Sandy per noi, bensì tutta quella folla variopinta e un po' pazzoide, che la metteva tutta in musica. Che bisticciava e organizzava gare in auto improbabili, che si aggirava tra brillantina e ancora più improbabili colori di capelli minacciati da voli di frappé.
Grease era un gruppo che stava insieme e sognava di rimanere così per sempre, anche quando le porte di una scuola si chiudono per lanciarti verso la vita. Non ci si è ancora accorti che la vita era già iniziata e gli schemi vissuti nelle aule scolastiche si ripeteranno talvolta più precise del previsto.
Grease è questo gruppo, è Danny quasi rinsavito, è Sandy, che si infila un completo di pelle nera e si affida alla permanente, così improvvisamente Rizzo la femme fatale sembra una ragazzina, salvata da una responsabilità troppo grande per lei in quel momento ma lesta a correre tra le braccia del suo amato-odiato. Kenickie, si chiamava, ci assicura Wikipedia. A noi guarda un po', il nome non veniva in mente, solo quello dell'attore, Jeff, e il suo volto un po' ribelle, senza esagerare, con un'ombra malinconica. C'era Jeff per noi, quello che era stato Danny e poi l'amico fraterno, per comparire infine su "Beautiful" e stupirci: cosa ci fa l'amico di Danny lì?
E' la sorte dei personaggi "secondi" o forse quell'allergia ai nomi quando vedi solo una tavolozza che ti spinge a credere che un mondo si può cambiare, anche solo con un po' di musica e brillantina.

mercoledì 25 maggio 2011

Le gocce e l'onda: ciao Angioletto

Caro Angioletto, ho ficcato tanti di quei pensieri e di quelle incombenze in queste 24 ore, per fuggire dal Pensiero, ma la barriera si sgretola ogni volta che infantilmente cerco di innalzarla. Capire che fisicamente non sei più qui, non è solo doloroso: è impossibile. Forse anche perché non è la fisicità che ha delineato questa strada meravigliosa su cui tanti si sono messi in cammino con te. Ancora poche settimane fa, parlavamo e tu certo eri debilitato, ma la fatica sembrava dissolversi piano piano quando toccavi gli argomenti più cari. E c'era una parola che ti illuminava più di altre: era "giovani".
Angioletto, d'accordo, non scappo più. Mi fermo davanti all'evidenza dei ricordi e delle frasi da tenere dentro di me, semi che devono germogliare. Ci sono i fili personali: tu eri il custode anche della classe '23, la classe di ferro, che ha saputo affrontare ogni circostanza, fino a quelle più drammatiche. Mi ricordo quando scherzavi con papà sul '23, e dicevi che tenevi nota tu di quanti ci lasciavano, chiamati ad altri compiti. Papà se n'è andato, e quanti altri bustocchi consapevoli dei propri doveri nei confronti della città e dell'umanità, come - e cito il più recente - Bruno Tosi.
Adesso ti sei sollevato, con le ali che si irrobustiscono quando il resto del corpo perde forza e consistenza - anche tu, il loro custode, e il custode di una fede incrollabile nell'umanità. Anche quando - come si dice - le prove depongono contro, in modo schiacciante. E tu di prove ne hai avute e vissute una miriade, hai appreso nel profondo dell'anima e del corpo quanto questa umanità sappia essere mostruosa. La tua speranza è la nostra speranza, e oggi vedendo ciò che accade in città, con persone di ogni età che rinnovano la veglia al tempio civico per non lasciarti solo, con giovani che solennemente promettono che non lasceranno inaridire i semi da te gettati, non possiamo che darti ancora una volta ragione.
Se ripenso alle tante nostre conversazioni sulla vita della città, al tuo incoraggiamento quando abbiamo fondato Italia-Israele, alla tua commozione vedendo i ragazzi ebrei, musulmani e cristiani che si univano sul palco nella fiducia, radicata come la tua, a quelle volte in cui entrando in consiglio comunale... il tuo sguardo attento mi accoglieva ed era una garanzia: sì, l'Angioletto c'è.
L'Angioletto c'è, tutto a è posto. E può accadere di tutto, ma lui ci mostrerà la strada, ci darà il consiglio giusto, ci spronerà al gesto che dissiperà veleni e superficialità.
L'Angioletto c'è. Ci dev'essere, ancora. La sua voce non sarà fievole, come quando ha detto a tutti noi: prendetevi cura del tempio civico e di ciò che rappresenta. Di ciò che è, luogo dove tanti sanno di doversi fermare, per pregare e per riflettere. Per continuare a seminare. Se tu ci dai una mano, Angioletto, perché la tua forza era dirompente e nessuno può portare il tuo testimone: l'hai sparsa tra tante persone e ora vedi, ti facciamo anche lavorare, perché tocca ancora una volta a te tenere insieme queste piccole gocce perché siano un'onda continua.
Ciao Angioletto.

venerdì 20 maggio 2011

birbante, questa natura

Sotto il pino Bruno hanno messo fuori la testolina due creaturine interessanti. Mi sono chinata a strappare le solite erbacce, invece sorpresa: quegli esserini ostentavano una certa somiglianza con colui che le proteggeva con la propria ombra. A partire dai capelli così verdi e sottili (in versione mini), come quelli che Bruno sta sfoggiando con l'esplosione della primavera.
Conscia della mia scarsa autorevolezza, mi sono rivolta all'esperto Sandro che ha confermato: sono i figlioletti del Pino, che stanno cercando di crescere proprio lì, accanto a lui, quasi avessero avuto timore a "sbocciare" più lontano. Stiamo a guardare, è stato il nostro responso. Li ho osservati ancora una volta, come se fossero dei neonati, giusto di sfuggita perché poi qualcuno accanto a me scuote la testa... Probabilmente a ragione.
Ma poi la natura birbante me ne rifila così, di piccole avventure. Prendi l'acero che lottava per lo spazio vitale accanto a un altro, malconcio pino. Ha avuto la meglio la rossa creatura, e non solo. Delle timide rose hanno preso coraggio e ora avvolgono i rami dell'acero, mischiando il rosso delle sfumature, addirittura una si è levata sopra tutte e tutti et voilà... Ha messo la testa fuori.
Sorry, di questi tempi non riesco a chiamarla natura matrigna. Pensa persino al cimitero, vicino alla Mariuccia. I soliti ladri hanno rubato la piantina rosata. E allora la natura che ha pensato? Ha fatto spuntare una primula, che adesso sta chiamando altre alleate.
Meno male che c'è lei, la natura, che ci sopporta. Tranne proprio quando non ce la fa più. Certo che allora sono cavoli, amarissimi.

mercoledì 11 maggio 2011

Brookeful o della sfortuna buia

Che conforto, quando un amico – serio professionista – ha confessato senza neanche troppe remore di studiare con attenzione “Beautiful”. Studiare è il termine esatto, perché la soap opera offre una miriade di riflessioni sull’esistenza umana. Ormai la seguo raramente, ma fin dall’inizio mi risultava facile cogliere i corsi e ricorsi storici. Di recente, mi sono riaffacciata per un paio di puntate e ho condiviso – non senza una beffarda risata - un episodio clou con il mio amico. Detta in breve, Brooke tradisce il marito Ridge con il fidanzato della figlia (e due, ma questa è un’altra storia) con un solido alibi; quella sera era buio e il ragazzo incautamente si era infilato la giacca dello stesso Ridge. A peggiorare la situazione c’era il fatto che Brooke indossasse la catenina della dolce figliola.
Com’era possibile accorgersi di non essere con i rispettivi partner? Cosa, trent’anni di differenza? Banale, oggi si invecchia meno rapidamente e poi la chirurgia estetica fa il resto.
Perché studiare “gesta” come queste? Perché la natura umana è misera, anzi uno spasso, e chi bolla “Beautiful” come teatro dell’impossibile si sbaglia di grosso. Persino la storia dell’Unità d’Italia offre – a ben guardare – un certo spessore all’episodio in sé, la storia quella vera e gustosa vista da due narratori d’eccezione come Fruttero e Gramellini. Apprendiamo che un ministro – all’incirca un secolo fa – fu colto in atti roventi con la cameriera, dalla moglie. E che alibi offrì alla sua signora? Cara, era buio e l’ho scambiata per te.
Visto che la storia si ripete? E poi diciamolo fino in fondo. Brooke – con almeno una sorella al seguito – ci spiega ciò che un vecchio proverbio diffuso pure dalle nostre parti riporta: vaccate, se volete essere fortunate.
Chiaro, bisogna esaminare quale sia il nostro concetto personale di fortuna, è questo il punto. Tuttavia, di Brooke in genere non ne conosciamo? E ci affidiamo, sulla fortuna che prende il largo, alle riflessioni di Boezio: “Ti ha abbandonato colei da cui nessuno potrà mai essere certo di non venire abbandonato”. Anzi, nella Consolazione della filosofia risuona il monito: “quanto più una persona è fortunata, tanto più delicata è la sua sensibilità”. Vuoi vedere che è per questo che Brooke piange sempre? Va be’, ridiamo pure delle loro “sfortune”, ma al riparo non c’è nessuno. Un paio d’anni fa una ricerca britannica indicò che un bambino su dieci non era figlio di suo padre. Su Radio Deejay la sintetizzarono magnificamente (ovvero ridussero le distanze), avvisando: “Attenzione, un ascoltatore su dieci non è padre di suo figlio”.
Andiamo avanti. E il cielo non voglia che in “Beautiful” - o Brookeful? - prossimamente vada in scena un blackout.

mercoledì 4 maggio 2011

Bobby e la libertà che non conosco

Poche ore e sono trent'anni. Cinque maggio, sei una ragazzina e non ti importa, non puoi capire chi abbia "ragione". Non lo capirai neanche da adulta, ammesso che si possa comprendere davvero.
Cogli solo che un uomo, un ragazzo, si sta lasciando morire, e nel vortice di parole nessuna è in grado smuoverlo: solo i fatti potrebbero salvarlo. Ma i fatti costano troppo nel mondo chiacchierone, e Bobby sarà solo il primo a spegnersi senza guadagnarsi nemmeno un rispettoso silenzio.
Negli anni puoi fare finta di crescere e leggi, studi la storia dell'Irlanda. Ti fa piacere quando si ricordano di un ragazzo di nome Bobby Sands; non riesci a indignarti quando strumentalizzano la sua memoria. Perché, appunto, non hai ancora capito: hai solo un ricordo e un'indignazione posati nel cuore.
Sfogli le sue pagine, i suoi sogni, le sue emozioni. Culli un suo pensiero: "Se non sono in grado di uccidere il desiderio di libertà, non potranno distruggerti". Vorresti, con tutte le tue forze, che fosse vero.
Ciao Bobby, che tu stia vivendo la libertà che hai desiderato, che non hai conosciuto e neanche noi sfioriamo.

giovedì 17 marzo 2011

buon supercompleanno, adorabile pasticciona

Ci siamo, oggi grande festa, anzi almeno per quattro giorni e poi ci sorbiremo convegni o manifestazioni come una lunga scia. Del resto 150 anni non è un compleanno, è un supercompleanno.
Il mio tricolore è uscito dal cassetto ancora oggi, nonostante sia guardinga verso la retorica. Uscirà ancora, per le tue occasioni speciali, e se devo essere sincera oggi lo espongo per un motivo in più che non c'entra direttamente con te.
Perché, diciamocelo, Italia: tu sei adorabile, certo, difatti al mondo tutti ti sorridono e si complimentano, ma pochi ti prendono sul serio. Agli occhi di molti sei una pasticciona, o inaffidabile, e a volte ce ne convinciamo soprattutto noi. Ma resti il mio Paese, profondo o raffazzonato, serio o con aria svampita, tu sei questo schermo su cui si stanno dipingendo, uniti ai tuoi, i colori della mia vita.
Devo pensare che il prozio Pietro riposi là, a Redipuglia, per niente? Per un involucro vuoto e che va a pezzi?
Ma ti ho promesso una ragione di più per starti vicina oggi, cara Italia, e non sei tu. Non è neanche questo mirabolante compleanno. E' un altro Paese, guarda un po' come sono proprio traditrice. In questi giorni non ho che occhi - tristi - per il Giappone. E vedo una sofferenza, vedo un popolo, vedo una dignità incredibile. Pesano sul mio cuore le mie sofferenze, eppure - è follia - avverto quasi un filo d'invidia. Perché è un popolo, e non solo nelle avversità. Ammetto dentro di me che le mie perplessità sul nucleare in Italia non sono legate solo al territorio sismico o all'incommensurabile forza della natura; no, è l'uomo che mi spaventa, è l'italiano. E' la classe politica che si divide su tutto e spreca tempo e chiacchiere: non oso pensare cosa accadrebbe se si dovesse scatenare un'emergenza simile.
Così Italia, accetta i miei auguri messi insieme in modo rocambolesco, un po' come te. Sei il mio Paese e hai il mio cuore. Una nazione, non lo so, né m'importa perché cantava Jim Morrison, il sangue sgorga con la nascita delle nazioni. Ma se diventassimo anche un popolo, pensa che storia. Meglio ancora, un popolo in tutto il mondo. Però qui devo tirar fuori l'immaginazione di John Lennon e non basterebbero mille post.

venerdì 18 febbraio 2011

Benigni e le corde. Contro me stessa

Patriottismo poco. Zero lo giudicherebbero la maggior parte degli italiani, perché da ragazzina non impazzivo nemmeno per la nazionale di calcio (da romanista la vedevo troppo okkupata dalle squadre nordiche, I beg your pardon), il che è considerata da molti l'unica vera onta. Qualche seme di agitazione affiorava quando coglievo le derisioni all'Italia, magari pensando allo zio Pietro che è sepolto a Redipuglia. Frammenti. Eccezione: (ma da seria ammiratrice dei costumi americana): stavo seriamente pensando di esporre il tricolore per l'intero mese di marzo.
Ieri sera mi sono accostata a Benigni senza aspettative travolgenti. Mi piace spesso, non cado nell'adorazione. Invece, che corde ha toccato, dentro di me. Controcorrente, contro me stessa, perché avvertivo brividi bizzarri. Avvertivo, soprattutto, la mia profonda ignoranza, poiché ogni verso dell'inno assumeva una vita propria e ne faceva nascere tante altre; volti, emozioni, sacrifici. Sì, mi sono sentita così ignorante - nell'aver a lungo ignorato perni della storia verso la nostra Storia - che volevo sprofondare. Ma non potevo. C'era poesia. C'era una nuova vita. E c'era una profonda umanità, che ti fa ripetere, a lungo fino alla notte, la mattina dopo: se la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi della felicità.
Un dovere patriottico? No, un dovere di uomo e donna.

lunedì 7 febbraio 2011

Lampi gialli di primavera

Un lampo giallo si posa sulla coperta del lago. E' una farfalla che si aggira nel presagio di primavera, con un'incoscienza che la potrebbe far gridare. Forse la sentirebbe solo Jim Morrison: nel suo sonno delicato ne sarebbe scosso un poco, un poco appena, ma abbastanza da sprigionare un sorriso.
Rimanessi qui da te oggi, crederei davvero nella primavera. Ci sono persone, ovvero maschere, che hanno cercato di farmi dubitare e ancora ci proveranno. Poverine, quante energie sprecano. Non sanno che nelle tasche dell'anima riposano tanti antidoti, e aspettano solo di essere destati. Uno è la grande lezione dei piccoli di Haiti, messi di fronte a una scelta dal coraggio e dalla fede di Marcella. Lo sorseggio, grata, e si accentua la compassione per le maschere, rinchiuse in se stesse.
Un'altra farfalla. Sono più forte. La neve vorrà riaffacciarsi, il terreno tornerà duro e inospitale: è la natura. Non so dove troverà rifugio la farfalla, so solo che tornerà, e anche il lago spalancherà i mille occhi della primavera.