sabato 31 marzo 2012

Murone, Yama!

Fierissima di voi, farfalle che avete danzato sul tetto di Busto e dell'Europa!

Ma che bello è essere della mia città, oggi più che mai. Solo da noi, tigri e farfalle: ovvero la ferocia e la grazia, che spesso si uniscono.

Siamo una città folle e a sua modo meravigliosa. Ma meraviglioso è lo sport che ci fa alzare un "murone" contro paure, incertezze e tentazioni di arrenderci.

Grazie Yama.

Adoro ascoltarvi

Specialmente la sera, quando il respiro si fa più disteso. Allora leggo, rimugino, mi lascio guidare dai vostri commenti, scritti o no.

Mi piace che nei cassetti ci sia posto per voi. Che siate amici oppure occasionali viaggiatori. Siamo tutti, in fondo, occasionali viaggiatori.

Mi piace leggervi, come ascoltarvi. Mi sembra di spalancare gli occhi sul mondo e di poterlo respirare, tutto.

Buona notte, con il cuore fuori dal cassetto.

Angelita, eh sì

Eh no: lo ripete quattro, cinque volte, e dovrebbe essere il nostro inno, ragazze.

Ma c'è la trappola, in Angelita. Accidenti, a volte l'ho pagata anche sulla mia pelle. In realtà, è un potente, meraviglioso, estenuante "eh sì". Alla vita.

Sì perché quell'"eh no" è la tentazione a rinunciare, che è un'operazione impossibile e devastante mentre sei vivo. Give up, fuorviante in inglese... E' andare sotto, è sprofondare, altro che up.

Angelita, dammi vita. Umberto Tozzi (sì lui, perdona, Karletto) usa il trucco dello spagnolo, e per un attimo ho una puntura nel cuore, al pensiero della mia seconda mamma, ora regina dell'oceano.

Così libero... di essere sincero. Se mi va, un po' un po' un po' eh eh no. Eh no...


Datemi questa vita, che la ribalto.

Buona serata.

Cullami, Discovery

C’è chi sa e sopporta, che di tanto in tanto per disintossicarmi ho bisogno della Scozia. In questi giorni di anniversario del capitano Scott il mio pensiero va diretto alla Discovery. Alla nave buona e fortunata, quella che l’ha riportato a casa, nella prima spedizione.

In realtà, il viaggio cominciò male, perché ci fu una disgrazia già all’inaugurazione. Ma Dundee consola, se non dimentica, e sospinge la nave verso la sua impresa.

Mi rivedo su quella nave: non so quante volte ho calpestato la sua superficie orgogliosa. Ritorno nelle sue stanze, nella sua fierezza all’aperto, nel suo fingere di dormire al cospetto della città fremente.

Rivedo, soprattutto, quel cielo violentemente blu che la protegge, e di tanto in tanto si chiazza di bianco perché amoreggia con il vento.

Cullami, Discovery. Anche oggi.

La prima volta nel parco

Sono apparsa nel vuoto dipinto di verde e ho combattuto la sensazione di essere una deficiente. Questo parco, a mezzo minuto da casa mia, l’ho sempre guardato con cautela per dieci anni.

Adesso obbedisco, ecco camminata veloce e corsa. Suona il cellulare: e accidenti è qualcuno al quale non posso proprio non rispondere. Camminata veloce più conversazione, fiato alla minima potenza.

Non importa. I merli se la ridono, e quel piccolo mostro che si affaccia guardingo chi è: una cornacchia, ahi se si montasse la testa come ai tempi di Hitchcock. Mi fai un baffo, cornacchia, io sono abituata ai falchi sopra la mia collina.

Sono serena, praticamente variabile; una magnolia si sta disintegrando di piacere primaverile e un paio di cani tirano il guinzaglio disperatamente, per entrare.

Adesso si tratta di essere fedeli, per sempre. E poi pioverà… Ma la mia prima volta nel parco mi piace.

La scala di Rocky

Alla prima rampa di scale arranco. Amen, alla prossima ce la farò. Con un mezzo sorriso ripenso alla scala delle scale, quella che Rocky si divora di corsa. Nella mia rapida tappa a Philadelphia ci ho provato.

Non mi è venuta così bene, tuttavia è stato possente il senso di libertà quando sono arrivata in cima. Non c'era una cinepresa a immortalarlo, il che era anche meglio.

Bisogna essere salutisti e in queste ore ricorderò quella scala per affrontarne altre. Però devo ammettere con me stessa che di Philadelphia mi ricordo due fatti considerevoli.

Il primo, un signore americano che fermò uno del nostro gruppo per informarlo che aveva una scarpa slacciata, mica cadesse.

L'altro - lo confesso - era un gelato al cheesecake (Strawberry of course).

Entrambi, non li troverò nella mia corsa (in piano).

Buona giornata

venerdì 30 marzo 2012

Notte colorata

Perché mica vero che è buia, la notte. Ha solo dei colori tutti suoi. Come ciascuno di noi, che non deve ostentare splendore per essere una stella.

Il fatto che quei colori non si impongano magari volgarmente alla vista, non significa nulla; forse è persino una garanzia.

Guardate l'oscurità e sappiate che sta fingendo, per coccolarvi meglio. Per sprigionare i vostri colori interiori.

Notte colorata, a tutti voi.

C'è una promessa, sorridi

Dai su, sorridi. Si stemperi la tensione. C'è voglia di sognare in ogni angolo, se dai retta alla primavera. Poco importa se poco durerà.

Sorridi, che adesso puoi spiare per bene le stelle. Oggi ti hanno offerto un goccio di whisky favoloso, solo per passione condivisa.

Sorridi e scalda quest'aria ancora intrappolata dai ritmi della settimana.

C'è una promessa, sempre nell'aria.

Buona serata e ancora di più.

Chi meno conta

Chi meno conta, sarà quello che cercherà di farti sentire il nulla. Chi è meno vero, meno preparato, meno coraggioso, o tutte queste cose insieme... chi non si mette in gioco se non a spese (solo) degli altri, chi sa di essere una solenne ultima ruota del carro e sogna di essere un'ala cercherà di spezzarti.

Ci proverà in tutti i modi. Il risultato, però, dipende solo da te. Coraggio, amica. Ricordati che conta poco e che sta cercando di contare attraverso di te. Se glielo permetti, lo farai contare di più.

Gli consentirai di strapparti le ali? Gli permetterai di fermare il tuo volo?

Combatti o allontanati. Ma non consentirglielo, se vuoi specchiarti ancora con un sorriso.

Avanti. E' pure venerdì.

L'oscuro senso della gentilezza

Ha senso la gentilezza? me lo chiedo di tanto in tanto, e la risposta mi sfugge. Se la colleghiamo al fingere per regnare, ok, tutto può essere chiaro.

Ma sto parlando di un'altra cosa: la gentilezza pura e spontanea, che ci accompagna come il nostro personale odore.

Oggi propendo per il no. Che ci appartiene e quindi va dosata, anch'essa, per non farla evaporare per nulla. Tante persone la calpestano e rischiano di fartela sciupare, di ucciderla per sempre.

Non è giusto. Non è gentile. Allora forse bisogna imparare a prenderla e coccolarla come un bambino. Offrirle tenerezza e mostrarle i pericoli della vita. Ripulirla dalle brutture infertele e spiegarle che non deve parlare con gli estranei, ma imparare prima a conoscerli.

Forse. Non so cosa pensiate. Mi piacerebbe saperlo.

Il pc campanello

Se non vuoi ascoltare alcuno dei segnali premonitori, anzi ormai postmonitori, arriva lui. Il computer si ferma e ti guarda assassino: guarda che non riesco a starti dietro.

A dire il vero, mi accade anche con il telefonino, è solo con i fornelli accidenti che non funziona così. Ma il pc è bravissimo a riportarmi sulla terra: guarda che vai troppo veloce, non ce la faccio, aò.

Sì, forse i miei pc dei vari pezzi di vita sanno persino che io sono romanista, al che parlano romanesco. Definiteli macchine, se potete. Sono tra i pochi che riescono a farsi ascoltare da me. Solenni campanelli d'allarme, li sento protestare, mi fermo e riparto con cautela solo quando mi danno il via libera.

giovedì 29 marzo 2012

Sarà la nostra primavera

L'ho promesso a un drappello di amiche tenerissime: una è una sorpresa dolcissima, un dono dall'alto che dopo 30 anni è arrivata qui alla mia destinazione con grande sorpresa mia. L'altra non la conosco, ma è amica sua, quindi dev'essere meravigliosa e i segnali in effetti ci sono già.

L'ho promesso naturalmente a tre mie sorelle. Una gioiosa e troppo buona, che vorrei tanto si prendesse cura di se stessa e si scoprisse bella com'è: l'adoro, tanto più che da ragazzina era sulla buona strada e io invece le ho fatto una capa tanta a base di metallo puro e affini. Perdonami.

L'altra è lontana e mi manca molto, come il dono che ha voluto condividere con me, rendendomi mamma spirituale del suo grandissimo bimbo.

E ultima ma non ultima, il sorriso e l'esempio che scaldano la mia vita, un universo di tenacia e farfalle che mi colora i giorni grigi.

A tutte l'ho promesso, e non trema la mia voce: non so come, e magari neanche ci apparirà così. non lo so. Ma questa sarà la nostra primavera. Lo dev'essere e in qualche modo lo sarà.

Buona giornata, ragazze.

Confermo le bollicine

Il nostro amico ci ha fatto scoprire un signore speciale che si è inventato dalla sua incantevole tenuta in provincia di Cuneo, un'esplosione di bollicine.

Ci siamo divertiti come pazzi a tentare di rincorrerle e contarle, e quasi ci siamo dimenticati dell'ottima cucina. Il camino era ormai spento, com'è giusto che sia, ma come bambini ce ne siamo rammaricati.

Allora ci siamo messi a sognare la menta e i fantastici cocktail che verranno. Bevendo intanto queste folli bollicine in una bottiglia, che ancora reca il segno dello spostamento a mano di questo signore speciale. Che è chiaro, vogliamo andare a conoscere.

Sogni bollicinosi.

Fattore ch

Chinotto o champagne? Bando ai maliziosi. Sempre ch è, ma la Svizzera non c'entra, e già questo mi rende felice: non perché ce l'abbia con cugini. E' perché sono troppo ordinati e mi mettono ansia.

Chinotto nel cuore del pomeriggio, bello frizzante, passi e via. Va giù meglio anche quella dannata pizza.

Ma quando si affaccia la sera, hai un raffreddore insistente o la voglia di sentire un pizzichio buono, c'è solo monsieur champagne. E bisogna inchinarsi.

Brindisi al fattore ch, che volete. Sempre e comunque.

Vado al parco

Lontano dalle tentazioni panettierine del confa, e lontano pure dalla bilancia, quindi con encomiabile equidistanza dichiaro: vado al parco.

Cammino, corro, faccio le capriole (ahi, quelle mai mi sono venute) ogni giorno o giù di lì, via quel giù di lì e basta. Il mio proposito è fisso e irrinunciabile, l'ho promesso. Vado vado, non trattenetemi, ora la spesa, ma poi vado.

Vado al parco. Da domani.

Fingere per regnare

Carmen mi ha sgridata perché talvolta mi trucco per vivere: l’ha fatto benevolmente si intende, perché veglia con dolcezza.

Mia nonna riportava un detto popolare, fingere per regnare. Va detto che non credo che l’abbia mai applicato, infatti era una donna diretta e che detestava smancerie e mezzucci. La nonna dal nome patrizio, del resto, tramandava diversi detti che andavano di moda ai suoi tempi e credo siano universali, senza che si radicassero nella sua vita. Con dolcezza la rimprovero ancora oggi, perché le dico lassù: nonna, ma dovevi spiegarmi BENE che così mi dovevo comportare per cavarmela in questo mondo.

La sua risposta è lieve come il respiro di una notte incerta. Perché, ti interessa di questo mondo? Anche Claudio mi ha sgridata per una mia battuta sul mondo, però ho tirato fuori uno dei miei patroni, San Francesco di Sales. La sua immensa Filotea: per andare a genio al mondo dobbiamo andare a braccetto con lui, e poi non riesci ad accontentarlo lo stesso perché è matto.

Allora bisogna fingere o no? Forse sì, ma non per regnare. Forse per non ferire, quando vedi che è inutile essere te stessa, poiché cercano sempre di cambiarti, di ricacciarti giù nell’acqua, e ti criticano. Prendere le distanze e fingere solo un bel sorriso, perché non è giusto fare del male anche a chi ti calpesta ma intanto stare alla larga dalle invidie, dai vuoti, dalle falsità.

Troppe formiche stanno correndo verso briciole avvelenate, non vedo perché dobbiamo fare la stessa fine.

Fingere per regnare, è non lasciarsi conquistare dal mondo, tutto qui. E continuare ad amare e coltivare il proprio orto profumato, per diffondere il bene a chi ha bisogno o a chi lo cerca: non è detto che sia la stessa cosa.

Omaggio a Scott. E alla conquista più vera

Dovevi conquistare il Polo Sud, capitano Scott, e piantare una fragile bandiera per primo. Non ci sei riuscito, c’è chi è stato più rapido di te per tante ragioni.

La tua vittoria è stata però immensa, e nessuno ha potuto eguagliarla. La vittoria tua, di Edgar Evans, di Lawrence Oates, di Edward Wilson e Henry Bowers è scritta nella storia di questa povera umanità, che a volte non muoverebbe un passo, mentre voi avete marciato soli nella tempesta dell’Antartide.

Sono trascorsi 100 anni, e noi compiamo grandi progressi, arriviamo a piantare innumerevoli bandierine. Che cos’è tutto ciò, di fronte a essere Uomini, come voi?

Non vi siete fermati mai, finché altro l’ha decretato. Non vi siete abbandonati l’un l’altro, anche perdendo di vista la salvezza. Avete lavorato, anche dopo la sconfitta ufficiale, nel nome della scienza e dell’umanità.

Quando vi trovarono, perennemente addormentati, otto mesi dopo, non poterono che scrivere i versi dell’Ulisse di Tennyson, per tentare di dare l’idea della vostra lotta coraggiosa: cercare, trovare, non cedere.

Siete tornati alla base, più di tanti di noi. E’ per questo che, un secolo dopo, io e tanti altri vi stiamo ancora seguendo.

Un sole di tutti

Ieri ho temuto di aver offeso degli scozzesi (miei fratelli, cavolo) che esultavano per una mattina di sole. Ho risposto: buona giornata, lo vediamo fino a qui.

Per un attimo,hanno creduto che li sfottessi: sappiamo che in Italia non è questo grande evento...

Non è vero, cari scozzesi. Li ho consolati come potevo con il mio inglese più maccheronico: questo è Nord Italia, conosciuto per la nebbia.

Fog. Bleah. In Scozia si chiama haar, o mist, mi ricordano. E io mi accendo al ricordo delle carezze umide della misty island, Skye.

La realtà è che il sole splende dappertutto, a partire da chi non si abitua e vuole ringraziarlo con gli occhi e con il cuore. Un sole di tutti.

Ma che sulla mia Scozia, dal cuore spalancato, è particolarmente generoso.

mercoledì 28 marzo 2012

Buona notte, capitano Scott

Adesso che le stelle si spengono sul serio. Adesso che sorridono, con naturalezza strappata alla neve.

Ti congedi dalla speranza, quel 29 marzo: non penso che possiamo sperare in qualcosa di migliore ora. Prometti che non deluderete nessuno, tanto meno voi stessi: uniti e decisi fino alla fine. Ma la fine, non può essere lontana, scrivi.

Ti ho letto mille volte, capitano Scott, e ho riguardato il tuo volto, quelli di Bowers e Wilson nell'Antartide di 100 anni fa. Avevate solo carburante per due tazze di tè e cibo per due giorni il 20.: il nulla ora vi ha raggiunto.

Ma siete più forti, ancora, di tutto questo.

TI ho letto mille volte, e mi commuove più di tutto le due ultime frasi vergate. Sì, certo, quel richiamo a badare alle vostre famiglie. Ma prima ancora quella frase, così in linea con il comportamento sobrio di Oates: è un peccato, ma non penso di riuscire a scrivere di più.

Hai scritto tutto ciò che dovevi, e di più. Ora riposa, capitano.

Buona notte, capitano Scott

Adattarsi, anche alla notte

E in realtà un ultimo saluto c'è ancora, questa notte. Dalle pagine di don Carlo Gnocchi, che non si rassegnò alla sofferenza, senza per questo tradire Dio, anzi battendosi per il Suo disegno.

"Se non ne verrà nulla, mi adatterò. Non bisogna mai forzare gli eventi. E quando si è fatto tutto il possibile, bisogna abbandonarsi serenamente alla divina Provvidenza che ci dirige paternamente al nostro fine migliore".

Non sono parole solo per credenti. Don Gnocchi indica nella felicità - che per lui è stare vicino a Dio - "fare del bene a quelli che soffrono e hanno bisogno di un aiuto materiale o morale".

Per quanto inquieti, questo ci calma e ci svela un Senso. Adattarsi, anche alla notte, se necessario, è sapere quando lottare e quando fermarsi, o almeno cercare di metterlo a fuoco. E' sapere quando stai aiutando qualcuno o quando ti stai facendo sfruttare.

Adattarsi, anche alla notte.

Contenti a chi

Prima di consegnarsi ai momenti irragionevoli della notte, mi guardo. Ho trascorso un'altra giornata in cui capisco poco o nulla.

Incontro persone con la mente concentrata sul guadagno (non sui soldi della sopravvivenza), sull'apparire, sul farsi promuovere, sul prestigio... Scorre tutto via.

Non è che mi accontento. E' che preferisco essere contenta. Contenta per me è stare tranquilla di fronte al camino, con chi amo. E' vedere che i miei cari non sono provati, ma sanno di potermi abbracciare quando vogliono. Contenta per me è scrivere ciò che in cui credo. E' nel sapere che tutto può cominciare, quando le luci della routine si spengono.


Non è accontentarsi. E' felicità pura. Tenetemi lontana dalle cene ufficiali, dalle tribunette, dai negozi delle apparenze, dai buffet organizzati dai potentini di turno per ingraziarsi i cretini di turno. Portatemi in un'osteria, o al tavolo della mia cucina; fatemi ascoltare gente saggia, o scoprire il profumo autentico di una bottega.

Buona notte, irragionevole a voi.

Senza i Rangers non vale

E' come quando se n'è andato il Legnano, scusate il paragone nostrano. Ma il calcio non può diventare così: perdere pezzi di storia e farci smarrire pure l'avversario.

Non importa se non ho mai tifato Rangers, al massimo un mormorio di approvazione per i colori. Io stavo dall'altra parte, che adesso non si può definire così.

Già, è come per la Pro Patria. Massimo rispetto per tutti, ma chi se ne frega della sfilza di squadra che incontriamo, che a volte faccio fatica pure a localizzare, che saranno tutte in luoghi splendidi, per carità.

Chissenefrega, quando non posso sfidare il mio avversario-vicino di casa. Quando non posso sognare che i miei amici si arrampichino sull'Alberto da Giussano e lo vestano di bianco e blu. Quando non posso andare nella loro tana a lanciare il guanto e godere. Quando a Legnano ci vado solo per lo shopping di turno, ma di calcio non si parla.

Se la palla è rotonda, figurarsi il mondo: ci avranno messo un po' a capirlo, ma è così. Allora, non fatemi morire i Rangers, per favore. Il calcio. Spogliatelo di tutte quelle follie che l'hanno soffocato e lasciateci vivere ancora così, tifosi folli, carichi dello spirito del derby e vivi.

Senza i Rangers, non vale. Per favore, Scozia, almeno tu.

Antidoti: un lago tutto per sé

Antidoto alla noia, al navigare senza senso, alle angosce. Si stende un lago, come un tappetino, che diventa sempre più grande, ma senza esagerare, perché come sapete, i laghi conoscono il senso del limite e non hanno la nostra ossessione di strafare.

Si contempla, senza insistere, la natura attorno che si affaccia per specchiarsi: sì è tutto in ordine. Pure noi. Allora, si parte verso questa mirabile creatura, si entra a poco a poco, ci si immerge e si nuota con naturalezza che ci potrebbe anche stupire. Se non fossimo nel nostro lago, quello creato apposta per noi.

Un silenzio, qua e là interrotto da suoni di approvazione non cercata e quindi ben accolta, scandisce la nostra esplorazione rispettosa. Ne usciamo dorati, come se avessimo depositato sulla nostra pelle solo pensieri luminosi. Forse è così. E forse si può persino tornare sulla terra, per un po'.

La storia d'amore, come oggi

In queste ore, 45 anni fa, brillava con discrezione la più incantevole storia d’amore. C’era una donna deliziosa, fasciata in un abito colore dei suoi occhi, con quel suo sguardo dolce e assennato. C’era un uomo che domava l’emozione con l’ironia, come faceva sempre, e come avrebbe fatto la sua birichina discendente.

Discrezione, fin dalla cornice, perché si sposavano fuori dalla loro città, in una cappella che avevano scoperto grazie a un’altra storia d’amore nella loro famiglia.

Serietà e commozione si alternavano, poi il sì finale, le firme e lui che usciva dalla chiesa sfogandosi con un gesto scherzoso intrappolato dalla macchina fotografica: oh, la cerimonia è finita.

Al pranzo c’erano tante persone care; anche se non c’ero, vedo don Angelo che posa le mani sulle spalle di lui, come fa, sempre, un buon pastore. Rivedo i loro genitori, quasi tutti, perché contemplo anche con sofferenza l’assenza di una mamma, che per la malattia già non può più uscire di casa. E’ nella sua campagna, con i suoi gatti che la consolano forte del pensiero che sua figlia sta per iniziare un cammino meraviglioso.

Vedo una cugina determinata, che dalla Valle riesce a trasportare tutti i familiari borbottanti e li fa sentire uniti con la sua risata travolgente.

Poi ci sono solo loro, in viaggio. Non li posso seguire. Arriverò dopo, e sarò la loro principessa. Ma se non si fossero amati, prima timidamente, e poi abbattendo le proprie paure, lasciando scorrere i propri sentimenti, io non sarei la loro bambina. E quindi, nulla sarei.

Scott e le lettere

La febbre di non rimanere sepolti sotto la neve e l’oblio: Scott scrive, come può, con le sue ultime energie, non tanto per giustificarsi del fallimento della gara del Polo e del mancato ritorno, quanto per raccontare quanto sono stati incredibili i suoi compagni. Quanto meritino di essere ricordati, tutti, per il loro eroismo.

Spero che queste lettere siano recapitate, un giorno. Esprime l’auspicio Scott, mentre Wilson e Bowers scrutano fuori, si interrogano ancora su quando potranno ripartire. Sull’estremo tentativo di salvezza, nell’Antartide di 100 anni fa.

martedì 27 marzo 2012

Un sì fregante. Forse

Accidenti a me stessa. Un sì di troppo. Un sì di quelli che frega. O forse no.

Che bello, il no in questa cornice ha un profumo diverso, comunque simpatico.

Accidenti a me e ai sì. Persino non richiesti.

Ma la vita è anche bella così. Chi ha detto "eh no"?

L'ultimo gradino è il più alto

Scala di corsa. Stop. Manca solo un gradino, e forse è anche più piccolo degli altri, comunque una baggianata.

Invece, mi sembra immenso. Lo osservo e prendo il fiato prima di salire, di compiere quel passo così banale, eppure stratosferico.

L'ultimo sforzo, l'ultimo gradino, l'ultima frase. Tutto sembra più importante,o solo più pesante.

Ma adesso bisogna muoversi, affrettarsi o parlare. E guardare indietro poi in silenzio, finché si può. Perché sai già che è in attesa un'altra scala.

Magia di farfalla

Mi contagi, con la tua fame di colori. Ora l'ho vista anch'io, la mia prima farfalla della stagione.

Modesta, ma decisa, si aggirava con un grido soffocato di gioia sul balcone. E' fuggita via, prima che ne intrappolassi l'immagine nella mente. Solo un lampo di emozione.

Grazie amica mia, che mi hai fatto credere nella farfalle già al primo balenare di primavera.

Confessioni di una pigra

Ci sono pochi aggettivi che accosterei con sicurezza a me stessa. Uno di questi è pigra: così facendo, sono sobbalzati parecchi miei amici o conoscenti. Ho provato via via a smontare le loro tesi che io sono naturalmente iperattiva. Casomai, è il contrario e l’intrecciarsi di attività è solo una reazione alla mia naturale pigrizia. Forse è questo che mi frega, perché allontanarsi dalla propria natura, combatterla o reprimerla comporta troppi sforzi, e pure pericolosi. Già questo vale come ragionamento da pigra.

Altri sintomi inequivocabili che conosco solo io, o almeno così era fino a pochi secondi fa, è vero. La mattina, quando mi sveglio, trascorro i primi due, tre minuti sotto le coperte a pensare a come rimandare tre quarti degli impegni che ho. Poi penso che sono energie sprecate, perché non è possibile, e allora mi alzo.

Ho talmente paura della mia pigrizia, che comincio ad accumulare impegni. Ben presto, tuttavia, mi rendo conto che non posso affrontarli tutti e qualcosa devo tagliare. Al che mi arrabbio con me stessa, perché così ho impiegato ancora più energie; smetto presto, perché rischierei, con la mia furia autodistruttrice, di sprecarne ulteriormente.

Il multitask è stato il colpo di grazia. Mi sono abituata a sbrigare due, tre compiti insieme, per risparmiare tempo e ricavarne per il nulla. Ad esempio, se innaffio la pianta, intanto allungo l’altra mano verso il ripostiglio per afferrare la scopa e cominciare a pulire. Oppure restando nel classico, triplette: rispondo al telefono fisso (appoggiato alla spalla subito), a una mail e intanto a un sms al cellulare. Quando mi rendo conto con orrore che tutto ciò nasce da pigrizia pura, affronto altri intrecci di carichi.

Per fortuna, esiste la sera. Quando ti rendi conto di quanto pirla sei. Una sola lettera di differenza, e tutto un mondo: avanti, arrenditi alla pigrizia, vuoi?

Scott e l'ordine, 100 anni fa

La penna non tace davvero. Mentre si aspettano le proprie forze e le buone disposizioni della natura in Antartide per uscire, si scrive anche se lontano dalle pagine del diario. Lettere, tante lettere, cerca di mettere a fuoco il capitano Scott nel gelo dell’attesa buia. Come dirà ai familiari, fa troppo freddo per scrivere molto.

Eppure quelle lettere scorrono, si accumulano, raggiungono le famiglie dei suoi compagni, il patron delle spedizioni, alternano autorità e amici come quello della vita Barrie, papà di Peter Pan. Infine, al pubblico: a chiunque vorrà leggere un anno, dieci, cento dopo ciò che hanno attraversato questi uomini.

La penna frena per gli ultimi sussulti: c’è da provarci, bisogna provarci e cercare di vivere.

lunedì 26 marzo 2012

Il nuovo giorno e i fucili

Negli occhi quella fusione di colori ed emozioni di "Day one". Mi riporta a tutti i clochard che ho visto, per i quali ho provato commozione, per i quali nel mio piccolo mi sono anche battuta, ma che non ho mai aiutato veramente.

Adesso che spengo il computer, come al solito, lascio che i sentimenti si affaccino. Alessandro Haber che fiuta il colore, profumo del passato e forse di un nuovo giorno. C'è sempre un nuovo giorno e allora metto su "Sweet child o' mine" dei Guns per ricordarmi che tenerezza e crudeltà si mischiano, come sicurezza e pericolo, come amore e perdita.

Dolci fucili, per dimenticare, sublimare, viaggiare lontano con la musica. Ripensando a quella stazione che può essere, che è la mia stazione, con le sue storie e la sua disperazione.

Animale cittadino

Devo uscire, di corsa. Potessi precipitarmi dal mio lago, sarei già lì. Ma basta uno scampolo di giardino. Una rosa sfuggita al grigio.

Sono un animale cittadino. Sei proprio una cittadina, mi diceva mia nonna in campagna, scuotendo la testa, quando sobbalzavo a ogni insetto. Nonna, vedi che sono cambiata. C'è una parte in me, che è legata assolutamente ai contadini e al passato profondo mio, e di gran parte di noi.

Quando ero ragazza, tormentavo mio padre per la sua passione dei fiori. Ora parlo loro con tenerezza. Crescendo, comunque non capivo perché si fermasse ad ascoltare gli uccellini per ore; adesso mi ritrovo schiava del loro canto.

C'è qualcosa nascosto nel fondo del cuore, è la vita a liberarlo.

Sono un animale cittadino. In fuga.

La folla, che paura

Due scene si intrecciano, in tv. Poi capisco che non lo guardo mai: la notte, devo pur dormire.

La folla nel "Barbarossa", prima della battaglia di Borsano (detta alla bustocca). La folla che reclama il gladiatore vincente, l'altro già abbandonato, in "Spartacus".

Che pena, la folla, che paura. Dovunque sia, di qualsiasi colori si tinga la faccia, quando si mostra vorace della vita altrui. In ogni angolo del pianeta, in una strada che si presenta come civile o in un deserto che perde il diritto a questo nome.

La folla che riporta alla madre di ogni folla, quella manzoniana. Scappo. Orsetto magari non felice, ma nel bosco si sta meglio. Pochi volti, un'unica emozione. Non quella della folla, elefante che acquista improvvisa leggerezza quando cambia idea e partito.

Amaro perché

Ci sono circostanze, luoghi, persone in luoghi e circostanze che più frequentemente a un gesto gentile aprono il rubinetto dell'acqua gelida.

Che se dici un grazie, ti rispondono diffidenti. Che se lodi una loro opera, trovano modo di ombra replica. Che se apri il cuore, te lo fanno richiudere all'istante. Amaro, amaro... perché?

Siamo tutti, a turno, così forse. Ma mi capita con alcuni, più di altri. Non ho la costanza, né la forza, di espormi ancora. Una, due volte. Poi stop. Perché l'acqua è preziosa, ma quella gelida ti stritola i boccioletti che vogliono affacciarsi in questa primavera.

Abbiamo tutti bisogno di fiorire un poco. Mi ritraggo, come quel fiore, e per un po' cerco di aiutarti così, in silenzio con i miei timidi colori.

Scott, usciremo

Lasceremo la tenda e affronteremo l'Antartide e la sua parola definitiva lontano da questo riparo. Faremo come Oates, guardando in faccia la morte. Non ci lasceremo schiacciare.

L'oppio, le medicine, nessuno se le ricorda più. Morire da uomini, guardando in faccia il bianco assassino.

Ma non ora, non oggi che ancora respiriamo la possibilità di salvezza. Uscire, marciare. Sono 11 miglia. Solo 11 miglia.

Usciremo. Si è conclusa la notte, eppure il giorno non si affaccia ancora sulla strada di Scott, Wilson e Bowers 100 anni fa.

domenica 25 marzo 2012

Notte di profumi

Si è appena appoggiata su se stessa la porta, e tutti sembrano pronti ad assopirsi.

Un cespuglio di fiori, dai colori attenuati dalla notte, ti assale dolcemente con il suo profumo. Come un liquore, che non può smettere di sgorgare, finché non ti ha accompagnato al giusto riposo.

Notte di sogni, notte di profumi.

Brisky, penso a te

Esco dal dibattito sugli adolescenti, scrivo a raffica il pezzo sulla Pro, aspetto un attimo a spegnere il pc. Adolescenti, Pro... penso a te, Brisky. La tua mamma ha postato ieri una tua foto di immenso tredicenne.

Scusa, sono scherzi da fare? Tu che ogni volta che arrivi, ti fiondi vicino a me per ostentare che ormai mi hai superato in altezza, va bene. La tua Malena si arrende all'evidenza

Al dibattito, ti ho citato naturalmente stasera, Brisky. Da quanto tempo non ti chiamo così, non ricordo. Sei così grande, anche così inglese, sorridiamo, ma con gli ottimi geni italiani.

Sei il topo, sei il mio bimbo bis, sei un'esperienza bellissima che mi ha dato tanto nella vita. E mi manchi. Non te le posso gridare troppo, perché sei un uomo e poi sbuffi.

Però mi manchi tanto. Tanto più ora che ti contemplo a cibarti di fish and chips al tavolino, tanto più quando ti penso con la tua esplosiva chitarra mano. Be', hai i geni rockettari, no?

Brisky, penso a te. Ma non dirlo a nessuno.

Steven tweeterino

Deviazioni dalle mie fonti informative ufficiali via twitter: adesso regna lui. Quando ha voglia, Steven Tyler, il suo cinguettio irresistibile...

Mamma mia, come twitti Steven, e come cinguettate d'accordo voi Aerosmith, ancora una volta. Come siete diverse da ciò che immaginiamo, a volte così simili, care rockstar. Come siete diverse tra di voi, eppure avete un filo sottile che vi lega. Non riuscite nemmeno più a litigare?

Sta cambiando il mondo, accidenti: lo si vede dai vostri tweet.


Steven, twitti che è un piacere. Però fallo presto al microfono. E per favore sii un ragazzo serio, ora, che tanto sei adorabile ugualmente.

Struccarsi

Sembri sempre felice. Chi? Nei cassetti ritiro le emozioni dubbie, le estraggo solo quando mi pare vigliaccamente.

Sono una donna che si trucca poco, eppure sono studiosa del trucco filosoficamente parlando. Quello sulla pelle dell'anima. Ho sempre amato riflettere e interrogarmi sulle maschere: di difesa, di attacco, di impura dissimulazione.

Questa mattina,sarà l'effetto festival del cinema, ma penso al Rocky Horror, ancora una volta. Penso a quanto sia sfacciato, forse senza cuore (lo crediamo davvero?), egocentrico Frankfurter o come cavolo si scrive, perché per noi è solo Frank, o Tim Curry, l'attore che lo interpreta.

Al di là dell'impatto immediato, il Rocky Horror trasmette continue maschere, travestimenti e dissimulazioni. Ma viene un momento in cui sei colpito al cuore, magari dal tuo compagno più fedele che all'improvviso si ribella, ti imprigiona e ti sta per consegnare all'oblio. Frank allora soccombe, o meglio la sua maschera. Non riflette su come abbia trattato Riff Raff, non prova più di tanto a implorare pietà, ma si prepara a uscire di scena. Non accadrà nel più degno dei modi, però è impagabile la canzone dell'addio.

Struccarsi. Rendersi conto che essere felici è così difficile, senza trucco. Che anche quando sorridi, senti il dolore dei muscoli.

Struccarsi. E consegnarsi all'oblio. Oppure fino alla prossima maschera, finché si può.

Scott, una domenica di 100 anni fa

Domenica. Il calcolo dei giorni è preciso, nonostante la stanchezza. Tutto tace, tranne la bufera. Si allentano le speranze, come la possibilità di emanare un minimo calore. Fuori e dentro.

Tace, perché deve andare così, perché più forte di una manciata di errori è il destino. Lui le sue scelte, le fa sempre e non le rinnega quasi mai. Nemmeno si inchina alla testardaggine di vita di questi uomini.


L'ultima domenica di Scott e dei suoi uomini 100 anni fa, in Antartide.

sabato 24 marzo 2012

Fiori del no

Sì. Lo so, non si può cominciare così i "Fiori del no". Ma la comparsa di un bocciolo mette gioia.

Vado a dormire con questa serenità. Certo, la strada è impervia e i no devono continuare a essere seminati, sempre non per egoismo ma per dare vita ai sì veri.

Basta mettere freno all'ansia. Pensi di aver detto no e nessuno ti ha ascoltato. Ripetilo. Ti accorgerai che forse qualche sta cambiando. Forse. Ma devi proseguire o sarà solo un falso successo.

Buona notte. No-tte

Il primo cono, yeah

Che eroismo: niente panino, niente briochina. Solo un potente cono gelato, dici poco. Arrivato tra il lusco e il brusco, nell'incidere di questa primavera.

Prima gelateria, tutto esaurito. E che cavolo. Seconda, mettetevi in coda voi che entrate. Scegliamo la terza, che ha il numerino e non fa litigare nessuno.

Pistacchio e cioccolato, come piace a noi. Gnam. Al diavolo la dieta, è solo un cono gelato. Ho pure scoperto perché sto ingrassando e i panini del Confa non c'entrano.

Confa, dove stai andando? Per caso in panetteria? Ah no, eh. Bene. Intanto hanno aperto un nuovo negozio di bouquet di frutta qui vicino: Signore, fai che sulle fragole ci sia un velo di cioccolato e giuro che arrivo.

La mia amica e le farfalle

Solo lei, che tutte le mattine sa curarsi della colazione degli uccellini, poteva accorgersene e subito comunicarmelo: sono arrivate le farfalle!

Sai cara amica, che me ne sarei resa conto tardi, in una primavera inoltrata. Ho troppi grilli in testa in questo periodo e si vede che sono incompatibili con le farfalle. Che ti distraggono dalla leggerezza, mentre dovrebbero spingerti a mettere a fuoco ciò che di bello si affaccia sui nostri giorni.

Tu hai questo potere speciale. Cara la mia amica-nuvola, te lo dico spesso che non esistono molti sorrisi come il tuo. Quello che sai sfoderare contro ogni ostacolo, quello che costa tanto, tantissimo ma proprio per questo forse illumina di più la vita degli altri.

Cara amica-nuvola, sì sono arrivate le farfalle. Ma la più bella e importante, quella di fronte alla quale ringraziare chi ha creato il cielo e la terra, resti tu.

Una cover da sballo

Se acchiappassi gli esecutori di certe cover, non so cosa farei. Sentire rimasticate canzoni che mi hanno fatta crescere, a partire da quelle dei Doors, mi manda in bestia.

In un cd di Virgin Radio neanche volevo ascoltare "Could you be loved". E pensare che non sono una devota di Bob Marley; ma si vede che lui aveva lo sguardo lungo, e difatti si appellava anche ai rockers.

Il nome dei nuovi interpreti è troppo lungo, e a me manca la voglia di conoscerli. Li apprezzo soltanto, per questa versione: una cover che mi piace, mi carica, mi propone mille interrogativi.

Come sarebbe semplice, oltre ad amare, lasciarsi amare. Abbiamo una vita da vivere... senza affogarla nei giudizi. Le note strimpellate e la voce mi riportano a un ritmo di reazione, come se potessi spaccare il mondo.

Ma sì, dai una cover da sballo. Quasi. Però ragazzi, non rifacciamo tutto, perché Unico è bello.

Scott, il silenzio in Antartide

Mi chiedo cosa sia il silenzio in Antartide 100 anni fa. Scott non scrive oggi, non può e non vuole farlo. Sono tre uomini in un mondo che non osiamo neanche definire.

A volte mi assalgono folli paure in mezzo alla natura. Tanto più con il buio. Mi ricordo l'interminabile notte nel deserto del Sinai: ma lì c'erano le stelle e un freddo piacevole dopo l'arsura, alleviato dal tè dei beduini.

Non si era soli, la natura era immensa, ma eravamo vicini e l'alba si avvicinava.


Qui nulla si muove. Oggi il diario tace, le voci no perché i progetti di salvezza continuano. Una pagina silenziosa, in cui ancora non vuole comparire la parola fine.

venerdì 23 marzo 2012

Whisky, Lega e rock'n'roll

Dottore, stasera niente medicine se non l'unica che mi rischiara i pensieri: re Talisker. Sono tornata da Varese, come al solito. Non come al solito: questa sera ho partecipato alla presentazione del libro di Reguzzoni, "Gente del Nord".

Dottore, detesto parlare di politica, figurarsi scrivere che per me è arte più soddisfacente dei discorsi dispersi nell'aria. Gliel'ho mai detto? Sono anarchica e quando Marco Reguzzoni osserva - come tanti altri - che non ha idea di cosa voti io, gli posso rispondere con serenità: nemmeno io.

Sono dolcemente, pacificamente anarchica. Stasera ci siamo tuffati in 20 anni fa, quando detestavo già scrivere di politica, ma dovevo. Raramente ho potuto scrivere di argomenti a me cari, e poi sono una Gemelli che si annoia facilmente.

Vent'anni. Nomi, sguardi, notti insonni a sentire come si doveva cambiare il mondo. Come si poteva. Non ero della Lega, come non ero di nessun partito, ma ascoltavo. Anche un po' stupita, seguivo queste persone, per lo più ragazzi della mia età, che si buttavano in un fuoco senza fine, il fuoco del "cambio tutto e subito". Quasi quasi, ci credevo. In pochi mesi, il vecchio mondo non esisteva più, ricordo i corridoi svuotati da Tangentopoli e un vento strano.

Ma non ho voglia di fare discorsi politici, dottore, di dirle che oggi siamo comunque ingessati, stufi marci e anche con meno voglia - realisticamente, meno possibilità - di cambiare il mondo.

Volevo solo spiegarle che quei vent'anni fa sono stati speciali anche per un'anarchica. Perché ho respirato un'aria diversa. Perché ho incontrato amici (alcuni tenuti saldamente, altri persi) e persino un fratello. Quel fratello mi manca terribilmente e se stasera scelgo Mr. Whisky è anche per rischiarare i pensieri. su di lui. So che whisky non è da Lega, ma io sono anarchica, quindi chissenefrega. Ascolto tutti, rispetto tutti, ma se mi stanco e vedo qualcosa che mi sembra storto, lo dico. Peggio, lo scrivo.

Fratello mio, che mi facevi scivolare le lire padane orgogliose in mano, e io sorridevo. Che eri un ragazzo e poi sei diventato un uomo capace di dare grandi lezioni di vita. Tu stasera non c'eri: sei lontano, dove la libertà è tangibile e infinita. Stasera piazzo la "Bohemian Rhapsody", che ti piaceva tanto e ci accompagnò in una tua corsa in auto. Che vizio, questo, eh, tra i leghisti. E vogliamo parlare di come guidavi a Roma la 127 di Speroni, targata Varese?

Whisky, Lega e rock'n'roll. Pensando a quei 20 anni fa e quando i ragazzi come te volevano cambiare il mondo. Il tuo bene continua a fiorire, fratello mio: ed è più profondo di quello cui forse pensavi 20 anni fa.

Amico, mi tocca onorare la Lazio

Non è febbre, non è follia. Non è pentimento romanista. Spero sempre, amico mio con il quale il discorso calcio è bandito, che la Lazio non sappia sprigionare tutta la potenza delle ali e voli lontano da noi lupacchiotti.

Ma ho letto dell'iniziativa di mettere il fiocco giallo per chiedere la liberazione dei marò e mi inchino. Noi ci scontriamo e fingiamo di litigare, a volte buttiamo amorevolmente il nostro tempo per questo pianeta folle di nome calcio.

A volte, però, qualcosa di Valore arriva da lì. Come mettere un fiocco giallo, per gridare che questa non è giustizia.

Amico, mi tocca onorare la Lazio. E poi il giallo coprirà i vostri colori. No, dai, non voglio scherzare su una cosa così terribilmente seria.

Marò liberi, sempre.

Voglio l'articolo 228

Vorrei un articolo 228, e se c'è già chiedo scusa e imploro imminente modifica. Oppure invoco un articolo 228bisterquater e chi più ne ha più ne metta.

Dev'essere un articolo pro leggerezza. Leggerezza vera. Perché in ogni angolo si insinua rompiscatolissime questa pesantezza, questo procedere in modo elefantiaco, questo trovare 100 mila passaggi per arrivare a una decisione nel pubblico e nel privato.

Un articolo che smantelli tutti i meccanismi arrugginiti di questo povero Paese, veloce solo nel perdersi di vista.

Tipo: una scelta sul posto di lavoro va presa entro un'ora (e siamo già pesanti), dopo un confronto di non più di tre persone (così c'è il dispari e nessuna partita patta) e chi non la rispetta, si occupa per tre ore di svuotare i cestini.


Un esempio, solo un esempio. Invece, il mondo del lavoro - pubblico e privato - continua a vivere nella sua pesantezza. E noi ci sentiamo sempre più vecchi, stanchi, e con un peso su stomaco e spalle che non capiamo.

Fuori l'articolo 228. Ora o mai più.

Vivere è buffo

A volte vivere è buffo. Una smorfia di un bambino che vuole apparire grande, e l'espressione disarmata dell'adulto che lo accompagna. Un gatto che si scruta attorno manco fosse in un campo minato: ma le bestioline non hanno addormentato l'istinto della sicurezza.

Un cane che scodinzola e non sa perché. Figurarsi noi... Che non scodinzoliamo quasi mai, se non per niente. Cosa scodinzoli, mi diceva mio padre, e rideva perché pensava che avessi bisogno di qualcosa: così diceva, godendosi comunque le fusa e sapendo che me le godevo prima di tutto io.


Buffo guardarsi allo specchio; buffo perdersi quando siamo sempre con noi, figurarsi quando ti ritrovi, visto che non ti eri smarrito mai.

Scott e il domani

Il 23 marzo 1912 si fa strada ancora quella parola: domani. Poco importa se è collegato presto a un aggettivo, last: ultimo.

Ultima occasione, lo ripete il capitano Scott il suo diario. Il domani è l'ultima occasione di rimettersi in viaggio, di tentare la salvezza, di vivere semplicemente. Semplicemente, termine che scivola sul ghiaccio dell'Antartide.

Il domani per tre uomini coraggiosi, spingere avanti ancora lo sguardo se i piedi non riescono, se le forze fisiche ti tradiscono. Finché si pronuncia "domani" si è ancora vivi e si può ancora combattere. Come grida l'Antartide 100 anni fa.

giovedì 22 marzo 2012

Rock bottom

Il fondo, stanno toccando il fondo. Reagire. No, proagire.

Ok, ho metabolizzato il tour Kiss-Motley Crue.

C'è un'unica canzone che può fare concorrenza a "Sure know Something" di Paul Stanley. E' Rock bottom. Il fondo. C'è un momento in cui lo si tocca e un altro in cui lo toccano quelli che non fanno il nostro bene

You hit the rock bottom... aw you know you gotta treat me good. You never treat me like you should. Già, c'è gente che chissà perché non ti tratta mai, come dovrebbe. Ha fretta, sa tutto, è dannatamente superiore. Così si sente. Ma tu attendi al varco. Il varco della tua libertà.

Sono tempi cattivi. Mai buoni, sospira Stanley. Sono tempi in cui qualcuno cercherà di giustificarsi nel trattarti male. Ma sono soltanto alibi. Se uno tocca il fondo nei tuoi confronti, è giusto ricordarglielo, come è corretto che lo faccia con te all'occasione.

E' giusto non subire. E' giusto non assorbire tutto, o ci si scioglierà come una carezza d'acido.

Rock Bottom. Fermarli, appena ci provano. E respirare la nostra potenza. Quella di non farsi cancellare e di potersi dedicare a diffondere la Luce,a compiere con le nostre piccole forze il Bene.

No, perché qualcuno doveva

Dovevi farlo tu? No. L'ha fatto qualcuno? No.

Allora perché improvvisamente quando ti affacci, sembra che sia tu la "fortunata"? Perché improvvisamente tutti hanno un fretta boia di farti fare ciò che gli altri si sono ben guardati dal fare? Chi doveva, non si è mosso. Chi non doveva, ha giustamente pensato: perché io?

Bene. Allora, tu che ti stai quasi sentendo in colpa, mi spieghi perché devi intervenire manco fossi WonderWoman-Superman-Spiderman e tutti i supereroi del mondo?

Calmati. Fermati. Fai ciò che devi. Ma quello che dovevano fare gli altri e si sono ben guardati, no; anzi ancora si guarderanno.

E tu chi sei? La migliore o semplicemente la più ciula?

Ripeti, mica tanto dolcemente: NO. NO. NO.

Scott, last chance

Due giorni accorpati sul diario, per risparmiare energie. Anche scrivere logora, ruba forze e anima.

Giovedì 22 marzo. Una sola certezza per Scott, Wilson e Bowers: il blizzard è crudele come sempre. Si è bloccati. La last chance - quel mettersi in cammino, almeno in due, per recuperare rifornimenti - esiste ancora, ma sembra immobile come loro, irraggiungibile come la salvezza.

L'ultima occasione continua ad aleggiare, in una tenda con tre Uomini che pur hanno rispettato e amato l'Antartide 100 anni fa.

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mercoledì 21 marzo 2012

Piccoli calpestati

Non è che non penso a voi, piccoli di Tolosa. Non è che non penso a voi, piccoli calpestati o per indifferenza, o per egoismo becero, o per follia pura e odio mirato.

Cerco di fuggire dai miei pensieri, lo confesso, ma non riesco. Cerco di soffocarli con il silenzio, tuttavia affiorano sempre.

Ho sempre creduto di dover lottare contro i virus del passato, tenendone solo gli antidoti. Invece, mi sento ogni giorno più impotente.

Non è che non vi amo, picco del mondo. E non è che non soffro. Ma soffro in silenzio, illudendomi di soffrire meno.

La porta

Di tanto in tanto, si affaccia una porta chiusa. Ha quel sapore misterioso, e magari c'è sempre stata, ma non ci avevi fatto troppo caso.

Lei sì, ti guardava. Ti aspettava. Porte di case altrui, di luoghi sconosciuti o familiari fino alla noia. Una volta, hai compiuto il gesto malandrino e hai provato a premere la maniglia, senza un perché. Non si muoveva e nascondendo il rossore, questo diniego ti ha quasi confortata.

Una porta che ti incute timore, o accende la curiosità. o ti fa pregustare gioie immense. Puoi fuggire o cedere alla tentazione, ma non dipende solo da te il risultato: quella porta potrebbe non schiudersi mai.

Puoi solo sperare che un giorno una porta misteriosa si aprirà e non sarà per respingerti: al contrario, sai già che ti attenderà, con il volto solare e un "balen" sulle labbra.

Raggi confusi


Pronta e via. Un taglio ai capelli, una potatura per rifiorire un po'. Un taglio ai pensieri, e voglio mettermi in viaggio, come posso fare.


Voglio portare con me questi raggi confusi di primavera e la sensazione di un bacio ancora inespresso in tutta la sua potenzialità.

Respirare piano, per godersi bene la natura. Portarsi via anche la mia Scozia, che è qui. Pochi giorni fa la rocca di Angera sonnecchiava nella nebbia, e San Carlone era l'unica figura nitida da cui sbirciarla. Adesso l'aria è più intensa, come liberatrice.

Sarà ancora dura, sarà ancora una stagione differente da quella che sogniamo. Ma acchiappiamo questi raggi confusi e partiamo.

Buona giornata a tutti

Scott e le 11 miglia

Mercoledì. Poche righe, per ricordare i pochi passi dei giorni precedenti. Pochi... sono immensi in questa Antartide tentacolare. Il martedì oerò sappiamo com'è trascorso.

Questo è un mercoledì in cui scrivere nel ghiaccio ancora la parola speranza. Scott ha i piedi in estrema difficoltà, ma Wilson e Bowers non si sognerebbero di abbandonarlo. Si trova una strategia: appena il blizzard lo consentirà, gli amici cercheranno di raggiungere il successivo deposito per il carburante. Ci proveranno. Ci proveranno.


Undici miglia. Un'immensità.

martedì 20 marzo 2012

Non sognate

Stanotte ci vuole uno stordimento non convenzionale. Non fossi troppo stanca caricherei sul vecchio registratore, miracolosamente plasmato dal dvd, il "Rocky horror picture show".

Solo per dire no ai sogni, per una notte, per una volta. Non importa, lo conosco a memoria.

Non sognarlo, fallo. Per una volta o per sempre. Rompi questo benedetto circolo vizioso che ti fa solo riporre tutto nei cassetti. Aprili anzi spalancali sulla scia dei no masticati. Forse un sogno ne uscirà e diventerà realtà.

Le calze a rete sguaiatamente smagliate di Tim Curry (che tranquillo signore britannico è ora, intrappolato nei ruoli da cattivo per il suo accento in un universo americano) e un rossetto troppo evidente, una creatura troppo perfetta o una che non vuole esserlo.

Non sognatelo, siatelo. Un momento solo o un momento ancora.

Buona notte.

L'unica squadra

Non si può tornare a piedi in silenzio e solitudine, nella mia città. Neanche quando cala un velo, un velo appena, di oscurità: già lampeggiano le luci artificiali e qualcuno ti ferma, oppure ti trovi ad attirarlo tu in una chiacchierata.

Nella piazza dal volto stanco incrocio un compagno di tifo in bicicletta; presto se ne aggiunge un altro. Contagioso, passa un ragazzo con il berretto della mia Pro Patria. Siamo tutti qui.

Devo sbrigare un sacco di commissioni, e mi aspettano, ma il tempo si ferma nella mia città, nella mia piazza. Una conversazione che parte dallo stadio e abbraccia il mondo intero.


Mi accorgo che le parole amare e preoccupate sul futuro, pronunciate dal compagno di tifo in bici, sono accompagnate da sfumature di stanchezza anche sul viso. Mi accorgo che non riusciamo a vedere quell'ombra di rosa del tramonto esitante, quella che grida come sia solo un arrivederci.

Ci sentiamo incerti di tutto questo mondo a singhiozzo. L'unica sicurezza è che ci troveremo là, nel nostro stadio. E quando non ci potrò andare, mi sentirò una tigre in gabbia. Ci sentiremo.

Il mondo va a rotoli, e la città che si veste di mille feste apparenti, mi appare esausta come il pianeta intero.

Eppure c'è una squadra, anzi è l'unica squadra, quella che incontri mentre calpesti con amore la terra delle tue radici: è bianca, è blu, e ha tutti i colori del mondo. Se lo vuoi. Siamo noi, incerti e fedeli, stanchi e sempre in cammino.

La mia amica salamandra

La mia amica salamandra so che non vi piacerà. Ieri era abbastanza scocciata del mio arrivo, e già questo non dovrebbe servire a cementare un'amicizia. Però ammiratela in tutta la sua seccatura.

Era immersa nella pioggia vicino al pino Bruno, e voleva stare in pace. Lei è mia amica, anche se a volte non lo sa, perché si dedica alla natura e quindi anche a me. La mia amica salamandra sa sopportarti, ma sa anche dire di no.

Mi ha scrutata con quel fare guardingo, si è arresa ad andarsene con plateale incavolatura quando ho estratto la macchina fotografica. Ma tanto tornerà. Torniamo tutti, prima o poi.

Scott, un giorno immobili

Un giorno bloccati dal blizzard, il ghiaccio che non vuole concedervi un ultimo tentativo.

Nella tenda tutto giace oscuro, tranne i pensieri che si rincorrono con un'agilità sconosciuta alle membra. Dilaniati, consegnati al peggio, eppure con un senso di pace, perché si è fatto tutto il possibile. Umanamente, di più.

Un 20 marzo silenzioso di 100 anni fa, di cui non si può nemmeno annotare nel diario che con una battuta il giorno successivo.

Un giorno in cui Scott, Wilson e Bowers vivono consapevoli la loro Antartide più oscura. E forse quello strano raggio che si fa strada tra la neve, non è un miraggio.

lunedì 19 marzo 2012

Che tutto passi

Ti ascolto, che tu pronunci frasi di buon gusto o un po' pacchiane, come - scusami - sai essere tu.

Ti ascolto serena, perché tutto è passato da un pezzo e oggi posso anche sorridere nel prevedere osservazioni e aspettative tue. Sei buono, in fondo. Di sicuro, più di me.

Tutto passa, anche noi, da un pezzo, e io per fortuna navigo lontana da te da anni, in un mare che non è placido, ma riscalda il mio cuore e mi sprona a essere un pochino migliore, a provarci almeno. Lui è il mio raggio.

Tu sei un ragazzaccio bravo, mai cresciuto, e neanche il mio errore peggiore come le finte amiche hanno provato a sussurrare, neanche in faccia. Loro frustrazioni, che non mi cambiano. Ti ascolto, rido, placo le tue aspettative che tu stesso sai di non poterti concedere,. Sono quasi materna con te, per questo ti ascolto e tu sai che è lui che senza pretenderlo in questi anni mi ha reso un pochino migliore e sorride con me.

Tutto passa, e che tutto passi paradossalmente è l'unica assicurazione sulla vita che abbiamo.

La foto più cara

La confidenza assoluta, l'intesa spontanea: sono doni che ti consegnano all'inizio e alla fine.

Ne sono convinta, mentre guardo le nostre foto. Per me è faticoso scegliere la più cara. Certo, quelle da bambina in braccio a te sul balcone, oppure mentre minuscola addetto una fetta di torta ma guardo te, ricambiata, o ancora quella in cui poso con uno sbadiglio soddisfatto al Ticino tutta per te, sono speciali.

In mezzo c'è tutto quel percorso in cui bisogna formarsi, scontrarsi, fare l'adolescente ribelle anche a tempo scaduto. Poi ci si ritrova con quello sguardo, con la voglia di partite a carte in cui tu ti lasci sconfiggere da me e dalla determinazione a non primeggiare, da gesti teneri e segreti, da sguardi catturati nel tuo piccolo regno terreno, dalle mani che non si separano fino a quando non ti portano via.

Ti hanno portato via? Se guardo questo cielo scuro, penso di sì. E mi unisco al suo triste broncio.

Mi basta una carezza. Un sospiro lieve, di amore, come tu sai dare, e questo giorno sarà ancora una festa, con un piccolo dono che ti conferma che non c'è giorno che io non pensi a te, con un gesto tenero e segreto, con le mani che non si abbandonano più.

Non c'è foto più cara, bensì una distesa di immagini che ancora ci uniranno, se il cielo vorrà. Noi lo vogliamo.

Scott, contro le aspettative

Si inizia sotto i peggiori auspici, invece basta poco cibo e si dorme sereni, persino al caldo. Un lunedì da cullare e di cui stupirsi piacevolmente, per manciate di istanti al risveglio, sulla scia della notte trascorsa.

Subito, bisogna tornare realisti. Un giorno di carburante, scarso; due di cibo. Tutto ciò che rimane ai tre superstiti della spedizione Scott, di ritorno dal Polo Sud. I piedi sono divorati, per ciascuno; sta un pochino meglio il dottor Wilson. Il tempo non ci dà chance, sannota scott.

Vento, meno quaranta. Ma quando ogni aspettativa viene ribaltata, nel bene e nel male, bisogna andare avanti.

La marcia di 100 anni fa continua.

domenica 18 marzo 2012

Accontentarsi della primavera

Non c'è nulla di più reale, di una pioggia primaverile. Una di quelle sottili, che si insinuano tra le foglie e i pensieri, mentre ridacchiano anche del broncio umano gli uccelli.

Non c'è niente che ti riporti con maggiore serenità ai giorni che viviamo, ai nostri brontolii, alla primavera ideale di cui ci ostiniamo a nutrirci, nonostante ne conosciamo la vacuità.

La primavera è una pioggia sottile, che infonde vita prima dei raggi incerti del sole. Forse è quest'acqua silenziosa, che costruisce il mondo, mentre altri sono impegnati a disfarlo.

In questa giornata che definiamo uggiosa, mentre la vita si sta propagando, la pioggia può rendere più luminoso anche il nostro sorriso.

La domenica di Scott

Ventuno miglia dal deposito. Dalla speranza. La sfortuna preme, ma il meglio può venire.

Le parole di Scott vogliono caricare, forse prima di tutto se stesso. Ricordano come egli creda nella sfortuna, nel destino avverso, eppure non vuole arrendersi. Bisogna fermare la marcia, con questo vento e la temperatura a meno 35.

Scott lo sa e lo scrive: nessun essere umano può affrontare tutto questo, e loro sono esausti, quasi distrutti. Due giorni fa, aveva i piedi in buono stato, il capitano, ora quello destro è andato. Il segno del declino, diagnostica.

Gli altri ancora fiduciosi, o fingono: Scott non sa dirlo. Forse neanche di se stesso. Nell'Antartide solo la natura ostenta con diritto confidenza. E bisogna tacere, aspettare, sperare.

18 marzo, domenica. Attesa. Di che cosa, in fondo non si sa.

sabato 17 marzo 2012

Il terzo tempo e la carriola

C'è un momento in cui essere seri, serissimi. C'è un momento in cui spalancare il proprio cuore.

Ma il terzo tempo non è il meno prezioso, anzi può rappresentare la salvezza. Ripenso alla Carriola di Pirandello. Abbiamo bisogno di rinchiuderci, un attimo, un minuto, un'ora, un giorno, e compiere qualcosa di bizzarro. Di folle, direbbe qualcuno.

Non importa, anzi il bello è proprio questo. Nel segreto di una stanza, dare vita a una follia liberatoria. A quello che non ci permettono di fare altrove. Non è fuga, è ritrovarsi.

Rileggiamo il racconto di Pirandello e troviamo una carriola. Sarà un antidoto potente, più di quanto possiamo immaginare.

Avanti, il terzo tempo ci aspetta.

Ritrovarsi in coda

In coda, che specchio di una vita queste code. Soffocare, penare e chiedersi perché siamo tutti qui come pecorelle smarrite.

Dicono che la mia città abbia 80 mila abitanti. A giudicare dalle code che trovo in queste circostanza, New York ci fa un baffo. Vedi varia umanità, ti senti estremamente intollerante, finché accade una cosa piacevole: ritrovarsi.

Ritrovarsi con una delle - non numerose - persone che hai conosciuto tramite il lavoro, che si è un po' staccata dalla vita pubblica, ma che il cuore in fondo l'ha lasciato lì. Si parla, ci si ricorda, ci si indigna per il vuoto che respiriamo.

Ritrovarsi è uno scorcio di umanità, quando tutti i volti ti sembrano uguale, eppure sai che non è così. Vedi che una persona sta sorridendo e ti illumina un po', una sembra riflettere e ti perdi nei suoi pensieri, l'altra è chiusa in se stessa e ti stringi senza saperlo.

Troppo permeabile, lo sai. Finché ritrovi un volto che conosci e con il quale hai camminato.

Guarda, è il tuo turno.

Scott, in marcia per crederci

Meno quaranta, in marcia. Con la coscienza a posto verso Evans e Oates, persino con la capacità di mantenere un atteggiamento sereno tra i tre superstiti, mentre si prova a sfidare l'Antartide e a tornare al sicuro, tornare a casa.

Meno quaranta, solo a pranzo qualche volta riesce a scrivere il capitano Scott. Ci si rivolge l'uno all'altro con garbato sorriso, ma il gelo divora corpo e forze. Si parla del futuro, ma "non penso che nessuno di noi ci creda nel proprio cuore".


Molto materiale viene abbandonato. Tranne i diari e i reperti geologici che il dottor Wilson con fiera ostinazione vuole continuare a portare. Sono arrivati fino a lì, al cuore ghiacciato del mondo, per quello, più ancora che per il primato. Almeno, se il futuro non li aspetta, come temono, quei preziosi reperti verranno trovati con loro.

Un sabato 17 marzo, di 100 anni. Scott, Wilson e Bowers: coraggio. Siete Uomini e il vostro viaggio non è finito.

venerdì 16 marzo 2012

Ale, io suono e insisto

Questo post è tutto per te, caro ex vicino. Siccome non ti tormento più le orecchie con la tastiera (però tenevo il volume basso, dimmi di sì), ti infliggo un'altra ferita sugli uomini duri e puri della musica.

Tanto sei paziente, e poi mi sorbisci di meno: ascoltami, almeno tu.

Ieri mi sono lagnata dei Led Zeppelin, e già per questo mi meriterei una solenne scomunica. Voglio punirmi da sola. Ascolto una canzone degli anni Settanta, è dei miei Kiss: insomma, mi faccio del male da sola.

Si intitola "Hard luck woman", ovvero donna sfortunata. Note aggressivamente dolci, perché il rock è ossimoro per eccellenza.

Convinzione di base: sei una donna sfortunata finché non avrai incontrato il tuo uomo. Merry Christmas, mi viene da dire. Ma ormai per fortuna noi fans - donne - con i nostri musicisti siamo comprensive.

Aspetta che viene il meglio. Inizia il meglio. Se non ti avessi mai incontrata, non ti avrei mai dovuto dire addio. Gli uomini in quei giorni, ancora: ma va'?

Il peggio però è l'ideologia che aleggia in tutta la canzone, romanticissima verso la donna (sfortunata) in questione: ti amo ti amo, sei meravigliosa... me ne vado.

Wow, ma quante volte questi uomini hanno quei giorni?

Abbraccio a tutti noi, Ale spengo la tastiera.

Un chilo non di troppo

Manca il Confa un giorno, manca un chilo. No, non mi accanisco sul mio amico.

Anche perché ieri ho commesso terribile colpa in sua assenza. Ho comprato una brioche per il mattino (perché, perché pasticceria siciliana hai aperto sotto l'ufficio) e a merenda metà se n'era andata. Però oggi manca un chilo dalla bilancia, e allora?

Tutte le diete del mondo sono meravigliose. Ma io sono un'anarchica anche in questo, finché durerà, per cui mi si perdoni.

Visto che non vedrò il Confa per qualche giorno (mi manchi giuro giuro giuro, chiamami e gridami Eh no, ogni tanto), ho già fatto il conto dei chili che perderò.

Quindi, stasera rigorosamente pizza!

buona merenda a tutti.

Scott - l'eroismo di Oates

La data aleggia incerta, ma il capitano Scott è quasi convinto che sia quella giusta. Il 16 marzo, nella crudele indifferenza della natura in Antartide, a Lawrence Oates accade ciò che aveva sperato non avvenisse: si svegliò.

Aveva pregato di non farlo, di potersi addormentare nella notte e liberare i compagni dalla sua rallentante presenza. Lui che aveva camminato nonostante umanamente non fosse più possibile. Ma c'è un tempo per fermarsi e lui aveva sperato che il Cielo gli venisse in soccorso, portandolo via nel momento del sonno e levandolo da quella terra ormai inospitale.

Pensa a sua madre, Oates. Pensa al suo esercito: sarà orgoglioso di lui. Non si era mai lasciato sfuggire un lamento, e anche quando ha rivelato le condizioni ai suoi compagni, l'ha fatto senza commiserarsi. A brave soul. Da poor a brave, poor nel dolore, brave nella reazione.

Fuori infuria il blizzard e Oates sa cosa fare. Il cielo non l'ha portato via, lui si rivolgerà a quella terra che pure l'ha ferito e martoriato. Si rivolge ai compagni, che invano aveva implorato: lasciatemi qui, a morire nel mio sacco a pelo.

Non è più una supplica, bensì un annuncio: esco e potrei stare fuori per un po'.

Impietriti, loro sanno cosa sta facendo. Invano, tentano di dissuaderlo.

La fine non è lontana, scrive Scott. Oates, l'eroe Oates, le è andato incontro a testa alta.

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giovedì 15 marzo 2012

Gli uomini in quei giorni

Le note si addormentano sulla tastiera, le parole invece continuano a rimbalzarmi nella mente.

E mi dico: ah, gli uomini in "quei giorni". Stavo suonando "Babe I'm gonna leave you", che adoro, intendiamoci. Però mi impone qualche riflessione extramusicale. I Led Zeppelin in realtà plasmarono la canzone di Joan Baez.

Insomma, ufficialmente hanno preso l'annuncio di una donna - Caro, ti lascerò - e l'hanno cambiato, rivissuto, trasmesso in versione maschile. Ufficialmente. Ma almeno la Baez dichiara la partenza, poi oscilla affermando che le piacerebbe restare qui; infine deve andare, i piedi già si muovono.

I meravigliosi Led no. In ordine: ti lascio, non ti voglio lasciare, non sarò lì, devo andare, non ti lascerò mai, ma devo andare, mi hai reso felice ogni giorno, però ora devo andare...

Se fossero state donne, forse non avrebbero replicato loro 1) mai una volta che mantieni una decisione 2) potevi dirlo in due parole 3) avrete le "vostre cose"?


Invece, è nato un capolavoro, giusto? Ecco gli uomini in quei giorni. Adorabili. Quasi quanto noi.

Con il capitano Scott- 5

Il 15 marzo tace ancora tutto. Anche scrivere è un'impresa, quando il gelo e la fame ti rodono. Eppure accade qualcosa, lo sapremo più tardi, nella morsa dell'Antartide.

Sappiamo anche che Oates, il coraggioso e silenzioso Oates, non ce la fa più. Che i suoi piedi sono in condizioni pietose, che il suo corpo si rifiuta di andare avanti, ma la sua mente è più forte. I suoi pensieri volano già sopra questo freddo mondo e vogliono sospingere i compagni verso la salvezza.

Capitano Scott, eroe di 100 anni fa, con il tuo coraggio, con la tua dedizione, anche con i tuoi umani errori. Una giornata interminabile attende te e i tuoi uomini. Una giornata da cui risvegliarsi e decidere, se si può.

mercoledì 14 marzo 2012

Sognocomando

Lascio cadere un desiderio, sperando che un angelo lo raccolga con un sorriso.

Prenoto un sogno. Nuoto appena, in uno stagno morbido e puro. Galleggio senza sforzo, tra lampi di verde, occhi di animaletti curiosi e il sole che fa il solletico alle foglie.

Così sto proprio bene e lascio il sognocomando. Magari lo prenderete voi. Se volete, ciò che volete.

Notte.

Eroica anzi no: ciao balen

Vorrei raccontare la mia impresa eroica oggi. Un no deciso alla telefonata della merenda (lasciamo perdere il pranzo, che non si dice).

Vorrei scherzarci su e far finta anche di rabbrividire al panino che sta mordendo il Confa.

Ma non mi riesce. Merenda. Il mio pensiero va a quei poveri bambini morti nell'incidente in Svizzera. Di ciascuno vorrei conoscere la storia e i sogni per ricordarli; nello stesso tempo basta il messaggio online di uno di loro ("Qui tutto è stupendo") per farmi sprofondare nell'angoscia.

Ignava, non voglio saperne di più. Ma a ciascuno di voi bambini, un bacio e un sussurro: ciao balen.

No(n) egoismo

Oh, lo so che ci rinfacceranno. Siete egoisti.

Riprendo la metafora dei pacchetti. La signora dalla borsetta minimalista che ci vuole scaricare l'unico pacchettino, nonostante siamo sommersi dai pesi, ha già rubato troppo del nostro tempo.

Dietro di lei c'è una persona dalle mani tristemente vuote. Se non diciamo no, non ce ne accorgeremo mai. Esploderemo noi, e non faremo niente per lei: potremmo offrirle un libro, un panino o il nostro sorriso.

Con il capitano Scott - 4

Mercoledì 14 marzo, tutto sembra andare storto in Antartide. Il vento. Le temperature. Persino il dottor Wilson in crisi.

Il capitano Scott sistema la tenda con Bowers. Solo un accenno a Oates dai piedi congelati. Poor Oates. La fine è vicina e ha il volto di razioni irriducibili.

Della dignità dell'uomo, fino all'ultimo.

martedì 13 marzo 2012

Sogni di loto

Mentre gli occhi si chiudono, lampi di voi. Chi mi ha aiutata, chi non osava, chi non voleva.

Sogni di loto a voi, che rincorrete la vita o la tenete a debita distanza. Facile perdersi in questa giungla dorata.

Verso la piuma, che mi so sentire,

buona notte

Sognocomando

Comincio a prenotare, chissà che un angelo non raccolga, con un sorriso.

Uno stagno morbido e puro, in cui galleggiare quel poco che posso, senza sforzo. In armonia con lampi verdi attorno a me, occhi di animaletti curiosi e il sole che fa il solletico alle foglie.

Lascio il telecomando. Prendetelo voi, se volete. Ciò che volete, vi può aspettare. Notte

L'unico, dannato sì

Lo sentite già nell'aria. Lo squillo del Confa. La mia dieta che vacilla. Ho appena preso un biscotto siciliano, non ci cascherò. Il no è pronto a scorrere.


- Mari, vuoi qualcosa dal panettiere?

- No... ho appena preso il biscotto

- Mari, quindi?

- Be' forse... qualcosa di salato.

- Mari, quindi?

- Una focaccina. Minuscola. Come il palmo della mano.


Il Confa è arrivato: non mi ero resa conto di avere la mano di un gorilla, accidenti.

No. La metafora dei pacchetti

Proviamo un esercizio. Ci visualizziamo per strada. Zoom: una borsa sulla spalla destra. Su quella sinistra a tracolla il computer nella sua apposita, valigetta. Pesano ma almeno possiamo usare le nostre mani in modo efficiente-efficace: una borsa di plastica con spesa media a destra, un sacchetto di plastica con alcuni libri nella sinistra.

Peccato non ci abbiano insegnato a fare le modelle, altrimenti un libro lo porteremmo fieramente sulla testa.

Incontriamo una persona con la sua borsettina minimalista che ci saluta e nell'altra mano un pacchettino: scusa, devo entrare un attimo in un negozio, me lo tieni?

Ci osserva e vede cosa stiamo trasportando, ma tanto aggiunge: Dai, tanto è solo un pacchetto, tieni, infilalo fra il gomito e il fianco, per esempio.

Solo un pacchetto. Stiamo già portando trecento carichi, e ci scivola addosso questa apparente piuma. Sapete come finirà? Che sarà la definitiva rottura del nostro precario di equilibrio. Intanto quella persona resterà mezz'ora nel negozio, perché la conosciamo ed è un'inguaribile chiacchierona.

Ascoltiamola e lasciamola ripetere la gentile richiesta. Sappiamo cosa risponderle, vero? Spiacente, non posso. O, più semplicemente, no.

Con il capitano Scott-3

Oggi tace il diario, e chissà se anche il vento. Oggi la natura scruta quattro uomini più silenziosi di lei, in una tenda, a contare gli istanti e i ricordi.

Oggi il capitano Scott non prende in mano la penna, ma forse osserva i suoi uomini imprigionati nell'Antartide, uno ad uno. E ancora di più osserva se stesso, come sa fare senza remore, anche affrontando il dolore più profondo.

Oggi 13 marzo tace il diario e sentiamo che va anche peggio. Perché quando la parola si ferma, è lo spirito che si dibatte e che cerca una via di salvezza, una via che spesso non c'è.

Ma quello spirito non può almeno essere intrappolato. Oggi è un altro giorno in cui essere eroi, 100 anni fa.

lunedì 12 marzo 2012

Non sob-illiamo

Grandi ragazze, oggi la prova del no è riuscita pienamente. Abbiamo sventato persino la trappola (buona) della contessina.

No. No grazie. Spiacente, no. Diciamolo come vogliamo, il garbo non esclude la fermezza, ma diciamolo quando è necessario. Quando quel sì che esigono da noi (e già questo ci fa girare a raffica pazienza e sospetto) non è benefico per noi, né per gli altri.

Alle ore 14.45 la miniprova del no ha funzionato e ha dato i primi fiori, che ce ne siamo accorte no. Io sono rimasta folgorata da uno gigantesco. Ma non sempre funziona così, è chiaro, perché altrimenti saremmo tutte reginette del no sano.

La strada del no è in salita. Quella del sì a ogni costo è in discesa: ma finiamo in fondo al burrone. Non sob-illiamo, perché il nostro è un no della vita e senza lacrime.

Ciao ragazze. Anzi no.

Con il capitano Scott-2

Sono state percorse 6.9 miglia. Un'impresa, in queste condizioni, con l'Antartide che si veste sempre più di immensità minacciosa. La mattina di questo giorno porta altre 4 miglia. Ne mancano 47 al deposito dei rifornimenti. Superficie orribile, freddo intenso e lo stato fisico in veloce deperimento: è il bilancio del capitano Robert Falcon Scott il 12 marzo. Che strano, un lunedì, 100 anni fa.

Dio ci aiuti. God help us! Anche il vento non è amico. Bisogna cercare la forza, bisogna cercare un vano riposo a una stanchezza che è entrata nelle membra e nella mente.

domenica 11 marzo 2012

Con il capitano Scott-1

Vi starò vicino, mio capitano, in questi ultimi giorni che spalancano poi la porta ai Primi. Cento anni si rincorrono e rendono tutto ancora più reale e ancora più ammirevole.

Walking with you, Captain Scott. Trying to walk and struggling every day. Camminando con voi, capitano Scott. Cercando di camminare e lottando ogni giorno.


Oggi è l'11 marzo, e siete rimasti in quattro nell'oscura Antartide, dove il bagliore della neve riesce solo ad aumentare le tenebre. Edgar Evans si è già addormentato per sempre, da parecchi giorni. E adesso è in crisi nera Titus Oates. In crisi, non un lamento. Vi ha mostrato lo stato dei suoi piedi congelati, solo quando non ne poteva proprio più.

Oggi, 11 marzo, tu scrivi così: Titus Oates è vicinissimo alla fine. Ciò che faremo, ciò che farà, solo Dio lo sa. Oggi hai chiesto al dottor Wilson di consegnare oppio e morfina, nel caso in cui decidiate di porre fine alle vostre sofferenze. Il Polo Sud è già tornato lontano, e inutile dopo la sconfitta a firma norvegese.

Ma nulla è inutile. Tanto meno stare accanto a te e ai tre compagni rimasti, fino alla fine e oltre. Proviamo a rimetterci in viaggio.

Lei è così europea (She's so European)

We're leaving together. Il conto alla rovescia è iniziato.

Noi rockettari duri e puri che stramaledicevamo il momento in cui la contaminazione pop era iniziata. Il conto alla rovescia portava inattesa attenzione al nostro ridotto mondo, il che ci divideva: chi ne era felice, chi voleva stare in pace.

The Final Countdown oggi ha un altro sapore per me. A cantarla erano gli Europe, ora in fase di ritorno, e l'altro giorno riflettevo: intanto però l'Europa c'è ancora? Non è partita verso quello spazio sconosciuto che l'ha divorata?

Accidenti se mi sentivo europea in quegli anni. I Kiss cantavano "She's so European" e io me la tiravo. Sì, noi donne europee: dovete pur riconoscere che siamo speciali. C'è qualcosa di antico che si rinnova in eterno in noi.

Al Parlamento europeo mi sentivo alle stelle, mentre in una conferenza stampa a tavola non c'era uno che parlasse la lingua dell'altro originariamente, e ci intendevamo su terreno linguistico comune.

Adesso il conto alla rovescia è finito. E a parte la musica - che strimpello tenacamente sulla mia tastiera - non so cosa sia rimasto. Le luci - europee - mi sembrano spente. E non so a tocchi, chi possa riaccenderle.

sabato 10 marzo 2012

La decenza contro la zuffa

"Tutta Gattinara, in silenzio, ha già fatto sapere che ci sarà".

Così finisce un articolo della Stampa, dedicato all'ingegnere ucciso in Nigeria. Poche righe che descrivono l'affetto, la compassione e la dignità, quest'ultima rafforzata da quei due termini accostati e protetti dalle virgolette "in silenzio".

Abbiamo perso un nostro connazionale. In una maniera ancora più assurda, che accende mille interrogativi e rabbia, anche su di noi come Paese e su quanto sappiamo muoverci nel mondo. Elefantino, pure poco considerato, questa nostra Italia, e non da oggi. Ce lo siamo detti tante, troppe volte.

Speriamo che almeno la dignità di Gattinara e della famiglia di quest'uomo - ucciso senza un perché, un uomo che mai aveva fatto del male a nessuno - sia contagiosa. Speriamo che almeno ci sia la decenza, nel momento dell'addio, anche da parte di chi ha la tentazione di strumentalizzare.

Ormai lui non c'è più, e certo bisogna ricostruire l'intera vicenda, in profondità, perché lo si deve a questo nostro connazionale e ai suoi cari.

Ma nel momento dell'addio stiano zitti un po' di politici, e lascino che tutto avvenga con decenza. Chiediamo solo quello: andate ad azzuffarvi su altro. Anzi, se potete proprio andarvene, grazie.

Quello che il sogno non ti dice

Ho sognato l'indicibile, ho sognato il prevedibile. Mentre smetto di parlare con te, lo sta già facendo ancora.

Mentre leggo le parole d'amore vergate con decisa tenerezza, le porto già con me nella notte.

Come in un film di antica memoria, mi rimangono impresse nelle pupille dell'immaginazione, quella che non si addormenta mai. Ho sognato un bacio di troppo, o uno che non arriva mai. Ho sognato che il mio re torna e mi mostra ciò che non va bene, senza insistere sui miei errori, ma correggendoli con dolcezza.

Da giorni mi esercito a sognare il mare, e funziona. Ho imparato a nuotare con stile.

Quello che il sogno non ti dice, è che tutto finisce. Anche se del risveglio ti senti così consapevole, e dovrebbe essere la prima lezione da imparare.

venerdì 9 marzo 2012

Come un fiume nella notte

Ho cercato un fiume nella notte, ponti che ci unissero mentre le nostre vite scorrono strane e distanti.

Tu dove non dovresti essere, io dove forse non vorrei. E mentre lui andava a fare il vecchio indiano e io fingevo di permetterglielo, avevo bisogno di ritrovare il mio Amico, così ti ho chiamato. La tua televisione a puntini, la trasmissione etnica in corso, dal confronto sui rispettivi punti oscuri della giornata sgorgava una discussione di stampo musicale come sempre.

Piazza Grande, la votiamo entrambi. Grande è il desiderio di trovarsi a conversare, magari nei nostri picnic per nulla improvvisati. Con un Amico così si può improvvisare poco, arrivavi fornito di cestino perfetto, e scomodo l'astrologia per fargli scuotere la testa divertito.

Torneremo a fare picnic. Intanto nella notte si intrecciano le nostre voci, e ci scopriamo così vicini. Torni? Quando torni? Vieni qui? Quando vieni?

Siamo già qui, in fondo, seduti sugli scogli e stiamo parlando. La notte tace i nostri dubbi, e io so che lui sta facendo l'indiano, che è tanto orgoglioso, ma sta per tornare. Me lo predici anche tu, Amico mio, e quando sento i suoi passi, sorrido.

Pausa merenda: la brioche è finita

Sentite che sta arrivando? Il suo passo baldanzoso, no guarda si fa incerto. Ha in mano la chiavetta della macchinetta del caffè, forse sono salva.

- Mari, prendo il caffè o vado dal panettiere?

Non riesco a essere stoica: vedi tu...

Scuote la testa, il Confa, abbassa la chiavetta, sento che sta per mollare e io lo seguirò. Quando mi guarda, nei suoi occhi è stampata chiaramente la parola "panettiere".

- Un muffin piccolo, Mari?

- Sì, Confa.

Cribbio, com'è tornato in fretta. E che brioche gigantesca (il muffin non c'era, spiega), con crema pasticcera e brillanti semini sopra.

- Confa, San Gennaro, è enorme.

Lui scuote la testa e sparisce. Io la mordicchio. Dopo qualche istante non la vedo più e temo mi sia scivolata a terra. Ma so bene che è già finita.

Prove di no

É uscito. Prima a fatica, quasi strozzato dallo stupore, poi in scioltezza. No.

No. No alla marea di richieste futili, o intinte in mero egoismo, sprezzanti e ostentate. No a tutti coloro che hanno fretta solo nel pretenderti. No a quelli che ti hanno sempre bollato come forte, dunque devi dare, dare. E più dai, più ti criticano.

No a coloro che, senza dolo magari, non ti ascoltano mai e ti rifilano sempre, distrattamente la stessa domanda.

Veri, potenti no. Per donare sì a chi ha veramente bisogno, e non osa chiedere. Persino a te stessa.

giovedì 8 marzo 2012

Le mattonelle magiche

Quando attraverso i vicoli più antichi, anche se rimessi a posto con moderno dubbio, mi perdo. Almeno un poco.

Cammino spedita, freno e inciampo, sulle mattonelle magiche. Un tempo erano così, eppure decisamente diverse. Mi fermo a osservare, come non faccio quasi mai. Uno scorcio di casa dalla finestra malandrina, o una pianta che cade assonnata sul balcone della corte.

Un momento di silenzio perduto e ritrovato. Soffoco di palazzoni, e mi perdo nel vicolo. In uno la neve ha resistito fino a dieci giorni fa e il santo - paziente - non si è nemmeno ribellato, anzi è rimasto a guardarla con interesse. Più gradevole la neve, di tante creature testarde.

Le mattonelle traballano o restano immobili, ti inducono a pensare e a cercarti. Nella mia città, come in ciascuna.

Siete o siate voi. Auguri

Ci ho messo ancora qualche ora e vi ho pensate ad una ad una.

Alla regina delle donne, mia madre. A tutte le donne dalle quali vengo, lontanissime o vicine.

Alle mie amiche, che mi capiscono, che non mi stanno capendo, che non mi hanno mai capita, con infinita gratitudine se mi vogliono bene ugualmente.

Alle mie sorelline pazienti. E a mia cugina, pazientissima. Alla mia collega che oggi riposa come me: e i maschi lagnosetti si arrangino.

A quelle che sono convinte di essere speciali, o che piangono per non esserlo.

Non importa. Siete o siate speciali, c'è una sola lettera di differenza. Vogliamo fermarci per così poco?

Splendida festa, splendide donne.

I-pad, con o senza te

Mi sembravi insopportabile. Mi sembri indispensabile.

Ma che cosa sei tu, allora, I-Pad? E soprattutto, con quale rapidità ti trasformi? Mi metti quasi paura. Ti ho rifiutato a lungo, perché fiutavo l'addiction, la dipendenza terribile che ti rode e ti trasforma in un ultracorpo, anzi in un tutt'uno con il mezzo. Ci manca solo quello.

Sono fuggita da ogni tentazione, anche quando i miei colleghi mi circondavano con i loro I-Pad; qualcuno mi sottoponeva, sogghignante diavoletto, il flipper virtuale, sapendo che da piccola andavo pazza per quello reale.

Ho già il pc e il telefonino, mi pongo il fatidico interrogativo "A che mi serve?" e non trovo risposta.

Adesso sto per soccombere. Sento che sto per soccombere. Ma è uscito quello nuovo, e chi l'ha comprato pochi mesi fa si maledice. Vuoi vedere che tra poco ne verrà sfornato un altro, e mi troverò in mano un aggeggio vecchissimo? Sì, come me.

Accidenti, prendo il computer nuovo, forse è meglio.

I-pad, con o senza te posso vivere. Passo e - per ora - chiudo.

mercoledì 7 marzo 2012

Crema cotta e uvetta

Drin. Pausa merenda.

Confa, una briochina piccola. Piccolissima. Questa mattina la bilancia non ha avuto ritegno nel gridarmi la verità. Uno strudelino invisibile.

Drin, è il Confa dal prestinaio: Mari, c'è la briochina con crema cotta e uvetta. Buonissima, dicono.

- Crema cotta e uvetta, dice?

- Sì, ne vuoi due?

- Ti ho detto che sono a dieta.

- Ok. Sai, Mari è piccola.

- Quanto piccola.

- Piccola.

- Ok, portamene due. Al limite ne mangio una ora, una stasera.

- Davvero, Mari?

- No, Confa. Le mangio adesso, chiaro


Ecco, è arrivato. Sono enormi.

Lucia, tutta un'altra Storia

Un post volante per una voce che resta. Anche se non pioveranno omaggi a raffica, anche se tanti si chiederanno: Lucia, chi?

La gratitudine al Quartetto Cetra da parte mia c'è e rimane. Voci, musicalità, simpatia, scene deliziose, tutto ciò che volete per una piccola sbalordita dalla scatola tv.

Ma anche la Storia c'entra. Scherzosa, quasi seria, ufficiale o romanzata, abbordabile per una bambina. La letteratura? I tre moschettieri? Li ho "imparati" prima da loro, e così il conte di Montecristo: sono stati loro a presentarmi monsieur Dumas e quanti altri.

Buon viaggio, Lucia Mannucci. Con voi era tutta un'altra Storia.

My only wish (you were here)

Il pensiero di Gilmour (che mese fiorente, quello di marzo, per l'arte) mi conduce al cuore di tutte le canzoni. Per me. Wish you were here, ogni volta è una sfumatura diversa dello stesso dolore.

I critici ci leggono Barrett, le personalità in conflitto nei Pink Floyd e il mondo intero. Io ascolto, leggo, rivivo, ma penso una sola, minuscola cosa: voreri che tu fossi qui. E basta.

Lo vorrei tanto, con tutta me stessa, anche se è impossibile. Proprio perché è impossibile. Ci sono momenti in cui cielo e inferno sono fusi, in cui la gioia di ricordarti è una fitta che toglie il respiro, in cui vibrano in me un tuo sorriso e una tua lacrima (trattenuta, perché tu non piangevi, non davanti a me).

Spero che tutto ciò che scorre in questa canzone non sia reale. Che tu ora sia in una serenità assoluta, che non ci siano più gabbie né ostacoli. Ti vedo con i piedi nudi, immersi nell'erba.

L'unica anima persa ora, sono io. Ed è lo smarrimento che provo nel cercarti che mi stordisce di più. Che tu non abbia più paure, mentre crescono le mie.

Vorrei solo che tu fossi qui. Tu e gli altri angeli che mi guardano, senza che io possa sfiorarne le ali.

martedì 6 marzo 2012

Una colpa dei marò

Saranno i tribunali - speriamo quelli giusti, anche se l'aggettivo dovrebbe essere inutile - a stabilire se i nostri marò sono colpevoli di omicidio.


Un'altra colpa però la stanno scontando già. Sono italiani. Non siamo potenze che prendono i propri militari e li portano di colpo a casa loro, a essere giudicati.

Non siamo potenze che governano il mondo, neanche il nostro Paese.

Agli altri piace prenderci sotto gamba. A noi piace lamentarci di questo.

E intanto i marò scontano questa colpa, già giudicati.

Anna e lo zingaro

Per congedare un po' di malinconia, sono arrivata a "Perdendo Anna". Ssst, non ditelo al mio amico K che ho fatto il regalo di fine compleanno a Umberto Tozzi.

Ma qualcuno si ricorda questo piccolo capolavoro, in cui vengono sintetizzate due o tre ragioni cardine del conflitto uomo-donna? Volersi dedicare spesso e volentieri ad attività diverse, la tentazione del tira e molla. Frase emblematica prescelta da me: "Al telefono c'è Anna, proprio mentre ho la scala reale massima".

Siamo così, noi donne... tuona un'altra canzone di ben diversa interprete.

Io però di quegli anni - che ricordo anche se non c'ero, ovviamente, essendo gli anni Settanta - vivo questa canzone contrapposta a un'altra di Tozzi. Zingaro.

Sembrano due mondi in contrasto, eppure ecco il filo sottile. La tua compagna o il tuo compagno ti stanno irrimediabilmente stufando, lo stai perdendo, eppure sai che è follia.

Follia è anche abbandonare tutto e seguire gli zingari che passano dalla città. Eppure la loro vita - più di 30 anni fa, tensioni sconosciute - esercita un fascino irresistibile. Da prendere con il sorriso. La frase più pazzesca? "Sento che va, non sono una Ferrari eppure sento che va".

Va bene, torno seria: "Più guardo verso il cielo e più mi sento solo". Via la tristezza, in quel cielo splende una stella birichina.

lunedì 5 marzo 2012

Fuori dal mondo

Un lampo nella sera: mi sento così, fuori dal mondo.

Ne sono immersa da tutte le parti, ho 300 fonti di informazione. Ma se lancio uno sguardo a quelle ufficiali e a volte ingessate, la vita sembra scorrere quasi normale. Se non fosse per quello schiaffo, quell'incertezza che regna sulla vita dei nostri due marò. Dici poco.

Ma ciò che mi scuote profondamente, è ciò che sta accadendo in Russia. Twitter mi inietta un profondo disagio, come ha fatto ad esempio con il dramma della Grecia. Arresti, soffocamento di diritti e una libertà ferita.

Su tanti, troppi media "ufficiali" tutto è mitigato. E senza capire perché fino in fondo, mi sento fuori da quel mondo a cui oggi noi a maggior ragione dovremmo appartenere. Su cui ci sentiamo così dannatamente informati. Forse.

Il derby e l'amico speciale

Non sono una bambina soltanto quando perdo il derby. Anche quando lo vinco, ecco. Così ieri il mio amico - laziale - mi ha ripagato con un silenzio assoluto.

E pensare che ci siamo pure "messaggiati" perché lui si trovava a una conferenza nella mia città. Ma eroicamente ha evitato ogni accenno alla sua vittoria. Che poi non è vittoria, va bene, perché ieri il derby non si è disputato causa nevicata, asteroide e via dicendo (vedi "Le partite che non si giocano").

Strano, è un tacito accordo che funziona solo con lui. Anch'io non verrei mai e mai sfiorata dall'idea di chiamarlo e vantarmi di un derby colorato di giallorosso.

L'argomento calcio lo sfioriamo solo quando le nostre squadre sono lontane anni luce dall'incontrarsi. E con frecciatine accettabili. Abbiamo un amico in comune giallorosso e diventiamo cattivelli solo su facebook, perché il nostro amico laziale non frequenta ai lidi. Ogni volta ci diciamo: glielo confessiamo, però.

Raramente lo facciamo, ma non per slealtà. Al contrario, perché ci dimentichiamo. Non è importante: la palla scivola via, quando in campo c'è la nostra amicizia.

Il sorriso tra due fuochi


Ripasso un altro mare amato, quello di Ischia. Un'isola è esposta a due fuochi in certe circostanze e una ho cercato di catturarla in questa foto: le nuvole e il mare che si rincorrono, senza curarsi di chi sta in mezzo. Non è nella loro natura.

Ischia è sempre apparsa in luce benevola e invitante per me, come un sorriso indossato per forza. Intendiamoci, l'adoro e ripasso ogni suo angolo, conosciuto negli anni. Le tempeste hanno solo rafforzato il nostro amore.

Questa, piccola e fremente, scuoteva Forio in un'interminabile parentesi tra la primavera e l'estate. La peggiore, invece, mi ha accolto in un aprile bizzoso: da Napoli manco sapevamo se ci avrebbero permesso di partire, difatti il nostro aliscafo fu l'ultimo. Tutto volava sulla nave e l'aggravante era che avevamo visto da poco "Titanic" (l'epoca della Concordia era ben lontana).

Scesi con il volto verde e uno stomaco profondamente vuoto, sic. In albergo lo stordimento reggeva, finché apparve un timido arcobaleno. Allora sentii di essere tornata a casa, ancora una volta, e di dover sorridere. Per forza.

domenica 4 marzo 2012

Le partite che non si giocano

Una terribile nevicata, come Alemanno temeva: nuova persecuzione marzolina. Anzi no, l'asteroide è caduto sulla terra decenni prima e ha scelto lo stadio della capitale.

Già, che peccato. C'era il derby oggi, doveva esserci. Non che mi importasse, a me basta giocare e godere, ve l'ho detto. Però io sono una donna e tifosa responsabile e matura, una romanista collaudata, e so accettare tutto, persino le sconfitte. Mica sono una bambina.

Quindi posso affermare senza dubbio alcuno che il derby oggi - per cause di forza maggiore - non si è potuto disputare. Del resto, le partite migliori sono quelli che non si giocano.

Good night.

I 60 anni di Umberto Tozzi

Ho aspettato fino all'ultimo a farti gli auguri, perché è un giorno malinconico e prima bisognava congedarsi da Lucio Dalla. La pioggia così desiderata acuisce quella scia di tristezza che caratterizza ogni commiato, anche quando ci ripetiamo che non dobbiamo... che tutto ha un senso e ripartirà.

Ma è un traguardo, speciale, quello dei 60 anni. Sì, 60 anni come diversi miei maestri musicali in questo strano 2012, e tu Umberto agli occhi di troppi sei rimasto il ragazzo di un tempo. Quasi da non prendere sul serio, difatti i miei amici rockers o fans della musica serissima mi cazziano spesso e volentieri. Ma io non ti rinnegherò mai, perché le tue canzoni mi hanno scaldato l'anima, divertita, fatta piangere o riflettere. Specialmente quelle nascoste nelle pieghe degli album, perché io da "hit" non sono mai, mi spiace.

La tua storia, il tuo cammino, le tue sofferenze e le tue risalite:
tutto racconta di te, e mi fa scaturire questi auguri. Noi compagni di efelidi, dai tempi di "Qualcosa qualcuno" siamo sempre in ricerca.

Forse anche di un talismano contro la malinconia, che oggi rende il tuo traguardo particolare. Mi riferisco anche alla scomparsa di Gianni Bigazzi, grande poeta capace di essere profondo e scanzonato allo stesso tempo.

Accarezzo i tuoi album, perché i cd rimpiccioliscono anche il cuore.

Buon compleanno, Umberto Tozzi. Fammi sorridere o piangere ancora, ti prego, al ritmo che vuoi tu.

Ps: però non far rovinare più le tue canzoni dagli spot televisivi. Ti prego.

Till the heavens stop the rain


Ritmo e violini, Jim Morrison rassicura in "Touch me": ti amerò finché i cieli non fermeranno la pioggia.

Non voglio essere dissacrante, non con uno dei miei poeti per eccellenza, ma accidenti se non mi coglie un brivido dal sapore scaramantico. Dov'è finita questa pioggia? Consulto da giorni i bollettini meteo: i maligni in casa affermano sospinta dalla mia auto irriconoscibile (ho chiesto scusa persino al benzinaio così, questa mattina).

Ma non è vero, non è (solo) questo. La primavera non può essersi trasformata in questo tocco insistente e vagamente volgare, bensì (si) nutre di carezze lievi. La natura che amo è imprigionata in una falsa giovinezza che mi ricorda tanto certi lifting: che si sia ispirata alla follia umana?

No, ti prego: apriti cielo. Per un po', si intende. Altrimenti che canzone cantiamo.

sabato 3 marzo 2012

La dieta della mortadella

Ho deciso fermamente questa mattina che mi metto a dieta. Non è per il costume, perché non sono una creatura da spiaggia. E neanche all'ultima, mi sento.

Fermissimamente. Telefonata del Confa: vuoi il panino? No. Un muffin minuscolo. Be' minuscolo per minuscolo. Dai a questo punto facciamo un panino minuscolo.

Con che cosa?

La mortadella. No aspetta. Magari mettiamo anche una fettina di gruviera.

Mari, ma se il panino è minuscolo, non ci sta.

Allora non prenderlo minuscolo. Fermissimamente gnam.

Lo chiamavano Lozano

Quando ero ragazzina, ero una piccola tifosa perseguitata. Anche per questo sono solidale con Filippo, pur non appartenendo al suo "giro".

Sono felice di essere romanista, anche se in queste ore vedrai che perderò il derby. Chisse. Non ho ansia da prestazione, conto su una squadra folle godereccia che incassa sberloni e poi ti offre una sorprendente impresa.

Certo da piccola che palle, non palloni, con l'assedio juventino. Sento clima simile oggi, diviso in tre.

Quando ero ragazzina, trovai un eroe extra per sottrarmi allo strapotere. Dico Anderlecht e dico Lozano. Poverissimo finché entrò in campo, e i miei amici juventini lo ricordarono a lungo.

Ci vuole ogni tanto che qualcuno ridimensioni le cose. Lui allora era per me un piccolo eroe, dicono analfabeta. Nemesi per noi che nel calcio e nella vita ci riteniamo professori.

venerdì 2 marzo 2012

Slash suggestion

Basta viaggiare, mi sparo un po' di video. Quello di Fergie e Slash piace al mio amico Anto per motivi non prettamente musicali.

A me spaventa, e affascina, lo ammetto, come tutti i film della vita con i ruoli capovolti. Anzi non troppo, perché già in "Misery non deve morire" ad andare di mezzo è l'uomo.

Sono stanca e questa sera non vado in studio a registrare, sotto il peso della "Slash suggestion" (evviva l'italiano ai maccheroni)risento il video su youtube. Ma possibile che sia lui a urlare sul finale? Mi sembra persino di sentire un "Ahia". No... non è da Slash, dai. Poi da quando Slash parla italiano?

Dormiamo che è meglio.

Misty St. Andrews

Mi allontano un poco dalla "mia" città, grazie a Scotia Heritage. Che questa mattina con una pennellata via twitter riassumeva magicamente: very misty in St. Andrews this morning. Inland is clear & sunny.

Rivedo una sera a St. Andrews, davvero. Avevo lasciato la mia città miracolosamente immersa nel sole di tardo pomeriggio, e arrivammo a St. Andrews. Il mare e i gabbiani rincorrevano le famiglie che giocavano a golf sulla riva: in un posto delizioso ci fermammo a cenare. Quando uscimmo, St. Andrews non c'era più: si era addormentata nella nebbia.

Un senso di stupore ci scaldò e ci rubò anche le parole, fino quasi a Edimburgo. Dove la nebbia si diradò fino a farci riconoscere le vie e le luci.

Misty St. Andrews, non cambi mai.

Il luogo irragionevole

Avrete una città del cuore. Forse più di una, o fluttuante nella vita, ma in genere un luogo si afferma, irragionevole.

La mia città del cuore è nata dalle pagine di un libro e da una cartina. Quando vi ho messo piede per la prima volta dopo 20 anni, ero già sua. Ogni angolo mi apparteneva.

Era umida e sferzante, la prima sera. Quando si affacciò il sole nei giorni e anni successivi, mi coglievano comunque i brividi. Il suo vento mi rubava il fiato, il suo fiume mi domava.

Non pronuncerò il suo nome. Quel luogo sa di essere irragionevolmente mio.

giovedì 1 marzo 2012

Heaven or hell

Tutti ce ne andiamo. Mi cullo nella mia banalità, mentre mi tiro fuori da quelle mediatiche altrui.

Non ho ancora metabolizzato che c'è un Poeta in meno, a questo mondo.

Tutti ce ne andiamo. Heaven or hell, già ci assaggiano su questa terra; ricambiamo, a fugaci morsi.

A volte gli stessi Poeti ci dividono - de gustibus -, anche le loro opere che però rimangono in noi.

In questo viavai non ci si rende conto che c'è un Poeta in meno finché la musica tace, e non sappiamo perché.

L'incontro dei due mari

Questo inverno tardivo e testardo mi ha trasmesso la voglia di mare. A me. Persino mare languido, naturalmente lontano da attenzioni soffocanti.

Mare da accarezzare anche solo nei pensieri. Il luogo - caldo - più potente dove mi riportano le sensazioni è Prassonissi. Rivivo quell'estasi sferzante di trovarsi all'incontro tra i due mari, in fondo a Rodi. Di vedere due facce opposte dell'essere natura: il volto riflessivo, quello impetuoso. Di trovarsi in mezzo senza poter fare praticamente nulla, se non tenersi stretto il cappello che altrimenti vola via. Di contemplare i due colori antagonisti e di stare in silenzio, perché tanto la tua voce viene rapita dal più potente.

L'incontro dei due mari ci riporta in mezzo, nella nostra fragilità, ma anche nella nostra possibilità di poter ammirare tutto questo. Si chiama possibilità, si può chiamare fortuna. Basta essere ancora convinti che quest'ultima, possiamo crearla noi.

La pizza che vorrei

Bravo ragazzo, che mi insegni alternative a rock e uncinetto. Qui però andiamo sul pericoloso, ovvero alla cucina. Mi sono dilettata in questo locale a lungo, negli ultimi anni però con minore intensità.

Per due motivi. Uno è l'alibi di tutte, il tempo. L'altro è tangibile: nella mia vita sono tra due fuochi che non sono i fornelli, ma persone di indubbie capacità culinarie. La mamma è la regina, ovviamente: difatti, mi sono specializzata in tutto ciò (e non è molto) che non fa lei.

Ma la pizza, la preparava papà. Era lui il pizzaiolo provetto, quindi mi sono specializzata solo nel mangiarla. Ci vuole ancora più pazienza, a partire dalla pasta. Vi sembro paziente, io? Non è che perché sto cercando di sferruzzare, ho preso un diploma speciale: i progressi lo dimostrano.

Un giorno, però, affronterò anche il capitolo pizza in cucina. In questo folle periodo ho imparato ad aver fame di ciò che non so fare. E vista l'ampia gamma, direi che l'appetito vien mangiando. Occhio che mi sto mettendo il grembiule.