domenica 22 aprile 2012

Kant, la viltà e il talento (prima puntata)


Kant, la viltà e il talento
L’esame che più mise alla prova la mia autostima fu indubbiamente Filosofia teoretica, ma mi diede anche una benefica scossa. 

Strani i ricorsi nei ricordi che si fanno largo. Oggi vi e mi racconto il primo round.

Avevo un’adorazione – teoretica – per un assistente, che seguii con fedeltà in un corso monografico su Kant. Al termine del ciclo di incontri, mi resi conto di un dettaglio non secondario: non ero degna di Kant, tanto meno dell’assistente che stimavo persino di più, essendo fuggita ormai da un pezzo dall’approccio razional-romantico tedesco. Quindi alla prima parte dell’esame, mi presentai come rinnegata: accantonai Kant e mi studiai rigorosamente Locke, che – ormai più portata all’universo anglosassone – mi chiamava.
Ero tranquilla, perché cinque assistenti interrogavano e statisticamente non potevo risultare così sfigata da finire proprio con lui. Difatti, fu proprio ciò che accadde.

Beh, con tutti gli studenti che transitavano da quelle parti, non poteva ricordarsi di me. Perfetto, mi aveva memorizzato. Domanda: perché porta Locke dopo un anno trascorso con me a studiare Kant? Io candida risposi che avevo seguito il suo corso per interesse personale. L’assistente si sentì in dovere di completare la mia risposta: e Locke è più facile.
Non negai e aspettai la tortura. Ero stata vile, dunque avrei dovuto pagare un prezzo pesante.

Studiò con attenzione il caso l’assistente e quando sfoderò un sorriso gelido, mi sentii dannata: ora mi dica, Locke aveva studiato medicina, ma ha mai esercitato?

Dopo qualche secondo di meditazione gli risposi: no, professore.

Il suo sorriso, che si scaldava: invece sì, signorina.

Io scossi lievemente il capo, perché mentre mi battevo il petto per la mia viltà, avevo trovato una strada, che era un mio minuscolo talento. Una passione. Ho sempre avuto un debole per la storia dei personaggi e per le introduzioni dei libri, anche quando potevo evitarle per gli esami, apparentemente. Così, con sguardo sinceramente modesto, gli dissi: professore, lei i ha chiesto se Locke avesse mai esercitato, ovvero avesse fatto il medico per professione. E aggiunsi: l’unico caso in cui fece il medico, fu verso una persona per amicizia, non retribuito.

Lo sguardo si placò, esame passato. Non fu un successo, perché la viltà non paga mai. Però un talento, anche nascosto o indifferente, aiuta.

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