domenica 30 marzo 2014

La città, i paroloni e le dolci azioni

Sono una povera cittadina, che pur si rifiuta di essere chiamata contribuente. A meno che, oltre cercarmi quattrini, siano pazzamente interessati alle mie idee di cittadina qualunque.

Amo la mia città, ma non è un regno dorato. E se lo credo, peggio lo ripeto per convincere gli altri, le infliggo ulteriori ferite.

Di giorno, giro con il mio cane e il sacchetto, ma spesso osservo (e se sono pericoloso raccolgo) più rifiuti degli umani dai vetri alle lattine, dalle cartacce ad altro materiale per cui riconosco anche una certa fantasia ai portatori insani. E i bambini giocano in questo regno di villana trascuratezza.

Vedo angoli meravigliosi e autentici scomparire, sotto un cartellone pubblicitario o una ruspa, e non scorgo ciò che prende il suo posto. E quando passo in bici nella zona industriale, non posso soffocare il dolore dei cartelli di resa.

Vedo il mio stadio languire, come se chi ci giocasse non portasse il nome di Busto. E tanti altri atleti, sport, dare il meglio splendidamente soli.

La sera, quando passo dalla nemica amatissima Legnano alla mia città, trovo il buio pesto, quello che viene dal deserto, dalla malavoglia di vivere e far vivere questo luogo.

Guai anche di altre città certo, ma questa è la mia e la amo.

Sono pessimista e anti bustocca? Ma neanche un po'. Vedo un sacco di stelle e qui fisso la mia speranza. Persone che senza ricevere nulla - né soldi, né lusinghe e pseudoriconoscimenti - ogni giorno si danno da fare per gli altri. Persone che non si montano la testa, né la montano agli altri, ma offrono il loro contributo, in mille modi. Sono le dolci azioni quotidiane, di persone troppo occupate a prendersi cura degli altri per cadere vittima di lustrini e paroloni capaci di annegare la mia città in illusioni e tenerla in un comodo torpore.

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