sabato 27 febbraio 2016

I muri del dolore, i muri della libertà

La solidità dei muri austriaci, prigione eppure con un senso di eternità che non appare solo opprimente. E i muri che raccontano speranze e desideri, piccoli e vitali, di quarant'anni fa. Anche con un posterino sgualcito dei Mondiali dell'82.

Mi trasmette sentimenti contrastanti entrare finalmente nel vecchio carcere, conficcato in centro a perenne memoria. Anche della nostra imperizia a prendere decisioni. La biblioteca è fiorita, attorno in centro si sono salvate storie, o si sono distrutte. Da ventisei anni spero in un futuro per questo edificio dall'ingombrante passato. Ora spero sia la volta buona, mentre si aprono queste porte alla città per attraversare e vivere questo luogo, questa storia.

Tante storie.

Corte d'assise: dalla finestrella di una cella leggo la scritta, che ricorda la precedente vita della biblioteca.

Piazza della Giustizia, la chiamavano ancora quando ero bambina. Poi ha assunto altro nome più irriverente: quello suo, vero, l'ha sempre un po' snobbato.

C'era giustizia, quando l'inserviente di mio nonno barbiere fu portato lì perché accusato da un cliente di avergli rubato una catenina? E il povero cristo e il nonno disperato a giurare di no, finché fu trovata quella catenina, agganciata al telo bianco che veniva posato sul cliente.

Nonno, avanti e indietro a consolarlo in quella cella, a portargli da mangiare con papà, finché fu decretata la sua innocenza.

Quante storie di libertà tolta, per giustizia e ingiustizia.

Poi parla il maestro. Ginetto Grilli - magico il suo studio di un muro con la torcia del telefonino, a caccia di una data - ne racconta due, quella di un altro povero cristo di Sacconago autore di una nobile rinuncia. E quella di due malcapitati che probabilmente qui trascorsero le ultime ore prima di essere uccisi (non si dice giustiziati, non è giustizia) dagli austriaci nel prato che oggi è la scuola Manzoni.

Queste sono mura. Ma anche persone, colpevoli o innocenti, testarde o perseguitate, fallibili come noi. Persone che fissavano tristi le pareti, che cercavano la luce, che incollavano sulle pareti foto di donne o articoli capaci di scandire il tempo.

E quando esco, vorrei riuscire a mormorare una preghiera. Anche affinché le storie di questi volti, dolore, libertà, prigionia, non vengano mai dimenticate.




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