mercoledì 26 aprile 2017

Notte e non bevo il whisky di papà

Incontro serene difficoltà a diagnosticare il momento in cui sono diventata grande. Già mi tocca dare per scontata questa ipotesi.

Eppure una fase interessante a questo proposito potrebbe riguardare il whisky. Quando ero ragazzina, mio padre ne beveva un dito: è una medicina, affermava. Io ridevo e storcevo il naso.

Poi dovetti mandare giù qualcosa per reputazione, quando ero convinta che il rock passasse anche da questo. In casa mia ho ospitato whisky che oggi farei francamente fatica a ospitare anche solo per un giorno.

Poi in Scozia ho incontrato i miei veri amici. Ne ho cambiati, senza tradirli, un paio. In casa, ho sempre tenuto il whisky amato da papà: perché in fondo un padre saggio e whisky buoni sono la strada maestra per la democrazia. Insomma, per non rompere le scatole sui gusti altrui.

Ancora oggi c'è la bottiglia di papà a casa mia: solo un dito è rimasto, quello che non ha fatto in tempo a bere. Ci ripenso oggi a una manciata di minuti dal suo compleanno, in una notte di tempesta. 

Una volta, non lo bevevo perché non mi piaceva o così dovevo dichiarare per contratto: il mio e solo il mio, perché ero diventata grande. Oggi non lo tocco perché è suo. E forse tornerà a berlo o glielo porterò.

Buon compleanno, papà.

Notte e non bevo il whisky di papà.

Ps: grazie agli amici, figli di un padre speciale, che in una sera di tempesta mi hanno donato il mio whisky.

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