lunedì 1 maggio 2017

Come se tutto fosse Colombia

Mi manca la Colombia: dai, diciamo la verità. E non (solo) il caffè che scandiva i miei ingressi a Expo. Due anni dopo, sfoglio con una certa fretta difensiva le immagini e prima di tutto mi colpisce quest'idea, intinta nel ricordo. E' entrando, quasi per caso, in Colombia che ho avvertito per la prima volta in maniera così intensa la mia ignoranza sul mondo. Sulla geografia, sulle persone, sugli usi, mica quei cliché che afferravo di tanto in tanto sullo schermo televisivo.
Mi manca quel Paese o ciò che ha provato a comunicare e vorrei ancora di più ritrovare dentro di me  quella resa all'evidenza:  non conosco quasi niente del pianeta. A dire il vero, nemmeno della mia terra: ma in questo caso non l'ho imparato a Expo.

Mi stacco rimproverandomi e cammino fino al Giardino di Israele. Sono tanti i momenti incredibili collezionati, e forte è l'impatto di una giornata intera in salsa social con il collega e amico Andrea Della Bella a fare un po' i matti e a imparare così: prima di tutti i profumi.

 In Israele però mi ferma un'immagine di me e della mia amica Angelica Calò Livné: lei sta tenendo un laboratorio, che parola fredda quest'ultima. Neanche una lezione. E' un incontro, di ragazzi, tra ragazzi di diverse religioni e provenienze. I gesti, la musica, la danza, l'esempio per sciogliere in un abbraccio i conflitti. Quando ci abbracciamo, io sento ancora una volta che la pace non è solo possibile, anche quando dobbiamo metterci al riparo.

Che è qui, tra di noi, dentro di noi, se vinciamo l'istinto di contrastare e contestare gli altri per dimostrarci vivi. 

Come se tutto fosse Colombia.

Come se tutto fosse amicizia.

E quindi lo è già un poco.







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