sabato 26 agosto 2017

Tognella e volere è volare

Sono solo 600mila euro. Ci penso, con un'arma a doppio taglio. Serve, ma non cambia la vita a un Comune, quella somma. Eppure mi sembra una cifra immensa, per ciò che significa, forse soprattutto riflettendo su coloro che dopo la guerra volevano che tutti si provasse di nuovo a volare, in modo fisico e metaforico. Anche attraverso un aeroporto come Malpensa.

Non sono una malata di nostalgia. Ma sì, dai, mica nego che leggere "aeroporto di Busto Arsizio" mi rendesse fiera quel che basta e che quando sento invece la definizione "di Milano", mi rammarico. Se ho soffocato in questi giorni il dispiacere per la vendita delle quote da parte dell'amministrazione comunale, è proprio perché mi dicevo: Marilena, i tempi sono cambiati. Per definirci, quando va bene, usiamo l'immagine "ex Manchester d'Italia". Roba da piangere, come tutte le espressioni che iniziano con "ex". C'è di peggio: non  manca chi ha gridato per anni entusiasta che siamo l'ombelico del mondo. Ma non mi risulta un'immagine convincente, sia guardando il mappamondo sia il corpo umano.

Restiamo con i piedi per terra. Restiamo a terra, quindi.

Poi, leggo la pagina sulla vendita delle azioni Sea pubblicata su "La Prealpina". E Giorgio Giacomelli che parla a Marco Linari, mostrando anche l'elenco degli imprenditori della zona che  misero anima, corpo e risorse in questa operazione. Sono nomi importanti, tutti: Airoldi, Ferrario, Crespi, Tosi…

Uno, però, mi fa particolarmente male. Tognella. Antonio Tognella. Per me, è una specie di figura mitologica, lo so. Ho letto tanto, ascoltato molte persone, ma più di tutti vale mio nonno, e qui torno bambina.

All'ex Cotonificio Bustese, se avevi un problema, andavi dal Tognella, anzi lui lo sentiva e lo risolveva prima. Nonno Mario ne aveva uno particolarmente pressante: la nonna faceva dentro e fuori l'ospedale. Bisognava assisterla, ci volevano tempo e cure.

- Hai bisogno, Mario?

 A volte, Tognella mandava la macchina con l'autista per portare altri operai, alle prese con un'emergenza per i loro cari.

Tognella, nel piccolo. Tognella, nel grande. E non solo perché custodì l'impero del tessile durante la guerra per poi restituire la parte che spettava a Carlo Schapira, costretto a fuggire (lo ricordo il nipote Roberto Jarach). No, pure questo era scontato: la banalità del bene, come si intitola lo stupendo libro di Deaglio su Giorgio Perlasca (anche se per tanti così non è stato).

Ma non era scontato dire: ci vuole un aeroporto, investiamoci, muoviamoci, andiamo nel mondo. Facciamo qualcosa tutti insieme per il territorio.

Abbiamo ceduto lo 0,055%. E quanto contiamo?

Per questo motivo, oggi  sono triste. Non perché mi senta di aver perso una primogenitura, di cui mi interessa poco. E' che mi sembra, piuttosto, che abbiamo perso una visione, la più preziosa, quella di guardare oltre. Molti, se non tutti. Volere, è volare.


Nessun commento:

Posta un commento