martedì 31 gennaio 2012

Gordon e il benservito

Mi sono arresa a guardare un'intera puntata di Masterchef Usa. La mia vocazione scozzese mi conduce a Gordon Ramsay.

E mi vengono subito le palpitazioni, che agitazione. Penso a quando sto cucinando, e ho occhiate vigili alle mie spalle. Penso all'eterna guerra dell'acqua per la pasta in casa. Insomma, voglio cucinare in splendida solitudine, lì cucinerei un pasticcio (non l'haggis, purtroppo) all'ora.

Naturalmente, non voglio - né posso - diventare uno chef. Però li ho osservati, quei ragazzi con un sogno; capisco che la selezione sia dura, anzi durissima.

Ma Gordon, cuore impavido, che sfoggi aggressività per il loro bene e in fondo sai essere anche tenero, quella ragazza non dovevi mandarla via! Ha fallito, come tutti, su un piatto. Però ti ricordo che pochi minuti prima ti aveva deliziato con una mousse al cioccolato encomiabile?

La vita dà una seconda possibilità, perché non la cucina non può? Ok, per un po' non ti guardo. Ma non è un benservito, of course. Ritornerò, senza diventare uno chef.

lunedì 30 gennaio 2012

Scusate se esisto. Col cavolo

Succede e succederà nella vita che qualcuno cerca di fare di più che screditarvi. Convincervi che non esistiate. Forse lo aiuterete, arrivando a pensarlo anche voi.

Eseguite un gesto, ma viene ignorato: figurarsi un suono. Neanche malinterpretato, quella era la prima fase. Sarà uno, saranno centomila, non importa.

E non è il caso di agitarsi, per dimostrare il contrario. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, neanche al nostro cuore, che è sempre più avanti di noi.

Si può stare tranquilli, come il seme sotto la neve. Magari lasciarsi scappare un sorriso, se si è comunque di buon umore. A nessuno dare il potere di scuotere il seme: questo conta.

Scusate se esisto, verrà forse da dire a qualcuno. Ma col cavolo. Esistiamo tutti. Quando siamo costruttivi, quando siamo distruttivi, quando non facciamo nulla.

Non permettiamo a nessuno di farci dubitare dell'immenso valore di quel seme. Non permettiamoci di avere alcuna reazione, o siamo in loro potere, anche solo per un istante. Possiamo aprire il cuore di quel seme e far scivolare fuori un po' di compassione per coloro che sprecano energie per cancellare gli altri o che non si accorgono di vivere per se stessi e basta. E forse pregare di non fare anche noi così, con o senza consapevolezza. Di non trovarci - come diceva meravigliosamente ieri Paolini - già malati senza saperlo.

domenica 29 gennaio 2012

Ciao: suoni e silenzi da questo bianco mondo

Il giorno dopo, il silenzio si è avverato. Completamente, come se il suo abbraccio alla neve fosse troppo intenso per comunicare.

Sento solo suoni dal passato. Anche di un amico dei tempi antichi che si è allontanato, in apparenza, per un mondo ancora più bianco e puro di questo: me lo ricordo umile e sincero, con occhi che ti facevano esistere. Là ad aspettarlo c'era un altro ragazzo di quei giorni magici, in cui lasciavamo parlare solo la musica. Ti ricordi, amica mia che soffri.

Tempi in cui ci avventuravamo nel campo della vita. La neve, era uno schianto. A volte ci chiudevano pure la scuola ed era uno sballo totale. Tempo per sognare sulle nostre note e scoprirci più grandi, anche se la vita di adulti non arrivava mai.

Adesso è arrivata; dopo tanta corsa sta camminando piano e lascia orme sulla neve. A volte - ci accorgiamo - alcune spariscono e vorremmo voltarci. Ma forse sono sotto quella coltre buona, perché sono troppo profonde nelle nostre vite, per andarsene sul serio. E respirando l'aria gelida, respiriamo anche una preghiera.

Voglia di trovare, voglia di mettermi quel cappotto rosso per restare ancora fuori in questo freddo luogo, un poco ancora, e sciogliere le lacrime.

Amica mia, non piangere perché gli uccellini torneranno sul tuo balcone. E sentirai forse un altro canto, ancora più intenso, che ti parla da lontano.

sabato 28 gennaio 2012

Primordiale, questa neve

Così addomesticati, eppure con uno strano, primordiale istinto che resiste dentro. Qualcuno la può chiamare suggestione per il totoneve e gli annunci che, quelli sì, fioccano. Quando al mattino ti svegli e fiuti qualcosa di speciale. Anche solo un silenzio che svela: qualcosa sta per accadere.

Sì, chissà perché quando è in arrivo la neve, la città diventa più silenziosa. Come se si raccogliesse, per accettare la sfida o per fuggire. L'aria ti punge, come aghi raccolti frettolosamente in una coda di cavallo. E ti frusta, ti frusta. Tuttavia, ti fa sentire bene. Non vuoi gridarlo, eppure è così.

All'improvviso, l'incazzatura per i disagi che incontrerai, persino i brividi che non ti deliziano... tutto diventa sopportabile. Un compagno di dialogo ti fa ripensare a quelle scivolate in montagna, quando non c'era lo slittino e andava alla perfezione un sacco della pattumiera. Come si viaggiava velocemente, grazie papà.

Sì, tutto si sopporta, anche quando i fiocchi arrivano sul seiro. Perché ti senti un tutt'uno con questa pazza natura. Che più  pazza (e primordiale) di te, forse non lo è davvero.

Il terrorismo e i parenti famosi

Colpa di Raistoria, che me l'ha riproposta accanto al piglio di un'altra superdonna. Mi sono rivista in un baleno a New York. Era il 2002, e si profilava una sola certezza: controlli estenuanti all'aeroporto nell'era del post 11 settembre. E documenti passati ai raggi X peggio della tua - allora - esile figura, e via le scarpe, e che stress. Ma tutto si sopporta, anche per la sicurezza.

Sto arrivando alla tappa finale di questo interminabile percorso con rassegnazione, quando l'ultimo addetto mi controlla - di nuovo - il passaporto. Me lo restituisce e mi sto già allontanando, quando emette un suono a metà tra il ruggito e il gemito. Subito mi giro, con aria profondamente colpevole: che regola avrò violato in questo mondo sempre più difficile? Lui ripete, ora quasi sognante: "Lualdi? Antonella?". Mi osserva speranzoso.

Spero che fosse un'indagine sulla parentela, perché lei è bella, bellissima, ma ha due o tre anni più di me. Al momento scuoto la testa e lui mi lascia andare con un sospiro deluso.

Poi ci penso: Dio mio, ma negli Stati Uniti del Duemila conoscono Antonella Lualdi. Erano anni che non mi chiedevano se fossi parente, in Italia.

Ci ho ripensato oggi. Vedendola bella, bellissima, accanto ad Ave Ninchi, mentre cucinavano. Coppia improbabile? Ma deliziose, entrambe. Un bianco e nero che traboccava di colore, di gioia di vivere.

venerdì 27 gennaio 2012

La noia febbrile e la cioccolata

Non c'è nulla di più inquietante che la noia febbrile. Non siete d'accordo? Ma sì, state facendo non una, bensì mille cose. Alcune irrinunciabili, diverse scivolate sulle vostre spalle e non sapete neanche perché, altre superflue ma magari non ve ne siete ancora accorti.

Ora, non ho idea di quanto scatti la scintilla. O meglio l'epifania, quella illuminazione improvvisa che vi consente di mettere a fuoco la situazione: Dio mio, mi annoio.

Siccome il destino di solito è più benigno di quanto possiamo immaginare, accade che si incroci qualcun altro che provi le medesime sensazioni. Dalla gioia, qualche giorno fa l'ho invitato a bere la cioccolata.

Le nostre tazze erano fumanti e avevamo scelto la cioccolata all'amaretto. Lui mi dice: Mari, non sento l'amaretto.

L'ho incoraggiato: sì, bisogna rimescolare e la trovi in fondo.

Ci siamo guardati negli occhi: che sia la strada per trovare la noia febbrile? Magari traccia anche un antidoto: mescoliamo, ridiamoci su e proviamo a non annoiarci. Facendo un po' meno, forse

giovedì 26 gennaio 2012

Quel buon lasciar(si) andare

Feel like letting go. Lo so, il buon Peter Criss - ex gatto dei Kiss - la cantava con un altro spirito.

Ma lasciare andare, è una gran bella cosa. Anche lasciarsi andare. Prima che me lo raccomandasse un uomo saggio, lo avevo percepito a più riprese. Ieri, ad esempio, camminando per la mia città; era carina, intinta in un indeciso tramonto, e ciò imprimeva dolcemente un ritmo umano. Alla vista di una coda per acquistare il pane, stavo per sgusciare via dal negozio, poi mi sono chiesta perché. Potevo aspettare: un sapore differente, gustavo. Un incontro piacevole, un'amica nuova e così antica, i sorrisi che dialogano con le parole. Poi l'Amore, che tutto contagia di bene.

Oggi l'uomo saggio mi ha ribadito un po' di tracce da seguire. L'ho ascoltato con una maturità diversa o così mi racconto.

Esco. Osservo il mondo: va avanti con o senza di me. Certo, una parte di esso tende a scaricarmi addosso responsabilità o compiti; però quelli che non sono miei, li conosco bene. E comincio a respingerli. Non con sforzo, bensì con naturalezza altrimenti siamo da capo.

Non ascolterò più tanti, mi spiace. C'è un tempo in cui lasciar andare e lasciarsi andare. Non dipende solo da noi. E anche se dipendesse, sarebbe piacevole ugualmente.

Non è fregarsene, né è sopravvivere. E' vivere. Con la propria identità, strappata a coloro e ciò che tentano di impossessarsene. Tu puoi ridere loro in faccia, con benevolenza o disprezzo: non appartieni a loro. Appartieni a te stessa e alla Vita che ti hanno assegnato. Ami anche meglio, quando senti che è venuto il momento di lasciarsi andare come la vela incantata che non ha frenesia di meta, perché sa che la chiama l'orizzonte.

martedì 24 gennaio 2012

Scusami, ma Churchill dimenticava qualcosa

Non volevo offendere un caro amico greco che, riportando una storiella di Churchill a proposito delle crociere italiane, aveva solo l'intenzione di strappare un sorriso. E gli voglio bene, perché la sua patria soffre anche più della mia, di questi tempi.

Ho solo due problemi. Primo, sono  ipersensibile sul clima mediatico che si è creato per la tragedia Concordia. Secondo, ho captato troppe lezioni da parte di Paesi sicuramente supercivili, che mi piacciono pure. Ma non tocchino il mio Paese.

In sintesi, la battuta di Churchill era che una delle cose in grado di attirarlo su una nave italiana (a parte cibo e servizio) era il fatto che in caso di emergenza non ci fossero sciocchezze del tipo "prima donne e bambini".

Battutina, ma non mi va giù. Perché l'Italia non è un paese di codardi. Di esempi di eroismo ne offre ogni giorno e si sono visti al Giglio. Anche di serietà, nonostante tutto lo sputtanamento che va per la maggiore.

Io sono fiera di tanti italiani, che mi incoraggiano a credere in questa terra strana. Specialmente quelli che meno si fanno notare e più mandano avanti il Paese. Churchill si riferiva a un altro periodo storico: be' anche lì ci sono stati codardi ed eroi. Il Regno Unito non ha avuto solo eroi, credo. E neanche la Germania: perché obbedire a un ordine militare anche quando significa sparare a creature inermi non mi sembra da considerare gesto da uomini.

Il buon Churchill e quelli che ancora oggi oltre confine lanciano battutine sul mio Paese, rivelano un'ottima memoria su alcuni personaggi o episodi. Ma dimenticano tutto il resto, scordano un'Italia straordinaria. Di cui sono fiera. Io che a tanti sembro così poco italiana, pensa un po'.

Pupone, qualcosa è per sempre

Distrattamente penso a te, serie A. Ho la mia principessa biancoblù, e il calcio dei massimi sistemi mi offre principalmente nausea.

Grazie al Pupone, tuttavia, recupero un po' di sano idealismo. Torno indietro, di corsa. Io bastian contrario che non sono altro. In un periodo storico e in un contesto geografico rigorosamente bianconeri, scelsi di "andare" a Roma. Decisi di soffrire, insomma. Perché è vero, arrivò lo scudetto, e che scudetto. Che giorni, chiusa nella mia casetta, registrando (solo audio of course, il video poteva attendere) tutte le trasmissioni di esaltazione collettiva giallorossa e ritagliando ogni foto (al top quella del povero Chierico spogliato). Fino al culmine: tutti gli autografi dei miei lupacchiotti conquistati all'hotel Astoria di Busto, grazie al mitico massaggiatore Giorgio Rossi. Amico devoto da 30 anni e più.

E' finita. Sì, è vero. In questi giorni tremavo guardando la maglietta che mi è arrivata, di Danny De Rossi, con tanto di dedica. Se se ne va capitan Futuro - pensavo - è proprio vero che tutto è perduto. Ovvero tutto è business. Io che amo l'America, non sono felice di vederla gestire la Roma. La Roma era altro. E' follia e passione: è un lampo luminoso nel buio, è godersela, è non essere colti dall'ansia pigliatutto.


Bastano due gol per illuminarti e farti sentire che qualcosa è per sempre. Totti, Pupone testardo, a volte ingestibile, ma che ti stringe il cuore con il suo record di fedeltà. Non è il numero di gol che ti fa grande, bensì il fatto che li hai segnati tutti per gli stessi colori.

Per gli stessi tifosi. Anche per quelli dispersi in minuscole isole giallorosse, che strillano contro la Lazio (meglio se hai un caro amico laziale, che credi) e riescono a trovare stupenda "Grazie Roma".
Che cosa vuoi di più dalla vita. Un Pupone.

lunedì 23 gennaio 2012

Ode a David Lee Roth (non basta essere biondi)

Colpa di un post, che mi ha rimpiombato in "Jump". E mi sono chiesta: ma che fine ha fatto David Lee Roth? Folle, sexy e scanzonato, era scivolato via dai Van Halen. Che si erano affidati all'ottimo Sammy Hagar, do you remember? Ma non basta essere biondi (autentici o fasulli, it doesn't matter).

A me il successivo album solista di David Lee Roth garbava assai. Era delizioso, e una solenne presa in giro come lui solo - seriamente - sa eseguire. La sua esecuzione di "That's life" è per me una goduria pura, perché dove c'è l'ironia, vince la sensualità, vince la vita. Del resto, Lemmy dei Motorhead dichiara di aver ottenuto l'"attenzione" di tante donne, proprio facendole ridere.

Adesso, da ciò che capisco, il futuro dei Van Halen e di David - per vari e complessi motivi - è un gran casino. That's life.

Mi consolo con la loro versione di "Pretty woman", che dietro ha un gioiello scherzoso caro a me e a una mia Amica. Van Halen, su... Bombadira Bombadira... Happy trails to you...

domenica 22 gennaio 2012

I veri poteri della maschera di fango

L'ho presa per scherzo. Un po' per ricordare Ischia, un po' per poter sorridere (dopo averla tolta, perché prima non ci riesci) allo specchio guardandomi. Parlo della maschera di fango.

Ragazzi, voi riderete e accenderete la tv, o vi aprirete un bel libro, oppure ascolterete un capolavoro musicale. Io chiudo la porta per un istante. Dieci minuti, per la precisione. Poso questa terra sul mio volto, bella scura e luminosa contemporaneamente. Poi aspetto, punto persino la sveglia, perché sono sfasata. Mentre sbrigo le mie incombenze casalinghe, prego che nessuno mi chiami. Intanto, sento la pelle che si tende, e ogni sensazione viene ricacciata dall'esterno all'interno. Si può sorridere soltanto nell'anima.

Sì, è bella questa sensazione, come quando ti contempli e vedi che la maschera - allo squillo fatidico - è diventata grigia e secca. Le onde che sollevi imperiosa, la levano come i pensieri autoinflitti. La pelle si affaccia, con un vago rossore, quello che hai perso negli anni.

Dieci minuti per te, e te soltanto. Puoi anche rispondere al telefono, adesso. Ma hai visto i poteri della maschera di fango? Prova a sorridere ora: sarà raddoppiato e amplificato, fino a scuotere il mondo.

sabato 21 gennaio 2012

Me and the boys. On the road again

Ci sono momenti in cui afferrerei la tastiera e mi rimetterei in viaggio. Questa volta, porterei solo lei. Eventualmente una ciurma di sognatori.

Me and the boys, always livin' on the outside, never had no place to hide. Lo so, suona romantico, da come la mette Dee Snider, e i Twisted Sister hanno sempre estratto uno dei lati più anarchici di Malu. Me and the boys, we make a big noise, we gotta roll.

Mi scuotono le canzoni che inneggiano alla strada, strumenti in spalla. La stessa "Wanted dead or alive" dei Bon Jovi mi scioglie e porta fiumi di sensazioni fino al mare della mia ribellione adolescenziale. Quando scelsi di ascoltare i brutti, sporchi e cattivi. Che poi spesso non erano nessuna delle tre cose.

Me and the boys we know our destiny. Fosse vero, Dee. We take care of our own. A volte, Dee.

Però, tu sei una delle rockstar più intelligenti (mamma mia, come inchiodasti tutto e tutti quando ti presentasti con il tuo linguaggio calibrato al processo intentato bollare i dischi brutti, sporchi e cattivi) e avrai ragione quando dici: there are some things you never stop.

Forse è questo battito selvaggio, che ascolto felice. Anche se non sono ancora in viaggio, con la mia tastiera.

venerdì 20 gennaio 2012

Il profumo della cassoeula

Ci sono piatti che si possono gustare solo a casa, preparati dalle tue mani o da quelle dei tuoi cari. Sono quelli che assaggi fin da piccolo, e di solito li evito come la peste al ristorante, perché possono prepararteli nel modo più incredibile del mondo, ma "non sono la stessa cosa".

Poi ci siamo impigriti, siamo diventati imbranati o che altro. Insomma, in questi giorni avevamo una voglia incredibile di cassoeula. Mercoledì ho scritto un sms a uno dei nostri ristoratori preferiti: ho sognato che domani sera preparate la cassoeula...

Venite, mi risponde, cortese. Così è come a casa. Chiacchieriamo. Arrivano altri clienti e parlano della Valle delle meraviglie, tanti anni fa; noi ascoltiamo e contempliamo i loro occhi quando si illuminano alla parola "cassoeula". Il nostro amico è uno tosto: se gli chiedi i formaggi prima, si rifiuta di portarteli. Applaudiamo silenziosamente la sua coerenza.

La sua cassoeula è profumata, è tosta eppure delicata. Il vino scorre giusto. Gulp, lo zabaione con il liquore di cioccolato per terminare in bellezza.

Non è finita, in realtà. Perché poi dobbiamo a fermarci a parlare. Di musica, ovviamente. I Black Sabbath si riuniscono. Macché meglio: i Procol Harum, do you remember? Salty Dog. In questi giorni, tema pericoloso. ma avverti la perfezione languida.

Questa cassoeula lascia un profumo infinito.

giovedì 19 gennaio 2012

Ho prestato un messaggio d'amore

Te l'ho detto e hai sorriso. L'ho prestato a un amico creatore, che aveva bisogno di una scusa. Di una lettura femminile.

L'ho pescato in fretta e leggendo gli infiniti nostri, mi son sentita spaesata. Quando li plasmo per te, mi sento vivere. Leggerli così, astrattamente, mi scuote: non riuscivo ad attingere...

Come se fossero banali, improvvisamente. Invece sono veri. Sono nostri.

Quando lo Squallor aiutava. Vai Bigazzi

Non è solo Amore. È che allora non sembrava esserci squallore. Per questo forse osasti lanciare gli Squallor. Me n'ero scordata.

Sei un grande, Gianni. Io ti scoprivo con l'album di Gloria strillato dal mio compagno di lentiggini Umberto. Qualcosa qualcuno il mio inno. Le efelidi non sono mai scomparse grazie a Dio.

Sdolcinato no. Com'era seria la scelta degli Squallor. Gliene cantiamo un po', a questo mondo?

mercoledì 18 gennaio 2012

Giornalismo d'inchiesta? No, di condanna

Poi non parlo più di giornalismo, I swear. Non mi piace più parlare di giornalismo, forse nemmeno mi garba più il giornalismo. Accarezzo la prima pagina de "La Stampa", per riconciliarmi grazie al solito Gramellini.

La tragedia del Giglio? Realtà immediatamente diluita in un fumetto, esordisce l'editorialista.

Il giornalismo d'inchiesta non esiste. Esiste quello di condanna. Più facile, intanto ti puoi anche cambiare il colore di capelli o gli occhiali, o fare shopping, tra un servizio e l'altro. L'inchiesta costa fatica, sudore, a volte finisce tutto in nulla e devi riconoscere che non ti ha condotto da alcuna parte: come quando una scoperta scientifica ti alletta e all'improvviso si dissolve. La condanna richiede un nanosecondo e un fiume di consensi; se altri si ribellano pazienza, ottieni ancora più audience.

Non posso nemmeno affermare che il giornalismo non mi piaccia più. In realtà, non mi piace da una vita: ricordo interminabili dibattiti fin dai primi anni di passi trascinati in questo universo. Che poi non dovrebbe essere un universo, ma un tutt'uno con il mondo reale.

Così non è, fluttuo lontano. Forse un giorno avrò il coraggio di allontanarmi o forse ci vuole maggiore coraggio a restare, a lottare quotidianamente contro la tentazione di prendere la scorciatoia. E finire fuori strada.

martedì 17 gennaio 2012

Ritornando con il mio comandante (Coming back with captain Scott)

Da Dundee mi arriva l'input di riaprire il diario del mio Comandante. Sono i giorni più cruciali per restare al suo fianco. E dei suoi uomini. Il 17 gennaio 1912 ogni prospettiva cambia, al Polo Sud.

Robert Falcon Scott osserva quel punto così ambito, per cui hanno lottato e sofferto. Yes, but under very differenti circumstances from those expected. Dal giorno prima negli occhi c'è il bagliore, più che della neve, dei colori della bandiera piantata lì, come una beffa: norvegese.

La gara - oltretutto non voluta - è persa. Amundsen è passato prima e ha anche lasciato un messaggio. All the day dreams must go, scriveva Scott il giorno prima. E non è arduo prevedere il futuro: it will be a wearisome return.

Non è stanchezza esclusivamente fisica. E' che il ritorno sarà così differente, con un fardello in più: quello della sconfitta agli occhi del mondo. Eppure la spedizione in Antartide non doveva essere una competizione con un'altra squadra, ma con se stessi. E soprattutto un cammino per la scienza e la gioia della scoperta. Una vittoria, sempre e comunque. Così è stato.

Da oggi comincia ufficialmente il ritorno. Estenuante. I wonder if we can do it, è la confessione sussurrata dal capitano Scott. Una preghiera, un presagio.

Ogni volta che ritorno a queste pagine, ogni volta che sfoglio le immagini, ogni volta che rimetto piede a Dundee al museo della Discovery... torno in cammino con il mio capitano e con i suoi uomini. Ho avuto la fortuna e la gioia di incontrare i loro discendenti, 10 anni fa, in Scozia.

Tutti insieme, stiamo camminando ancora. Grazie a Scott, Oates, Evans, Wilson e Bowers. Dall'Antartide, che mai lasciarono, hanno tracciato il percorso che ogni uomo può percorrere, anche in condizioni disperate: quello del coraggio e della lealtà.

lunedì 16 gennaio 2012

Noi sempre più alla deriva

Qual è stato l'impatto con l'emergenza? Un povero cristo di soccorritore al Giglio si accinge a rispondere e a ricostruire come ci si è comportati, ma la giornalista lo incalza: no, emotivamente intendevo.

Emotivamente?!  Domandone. E intanto scorre l'altro film: lla condanna del comandante.

Alla deriva, o arenata, o come volete voi: non c'è solo una nave, con il suo carico di tragedia. Ci siamo noi, ancora una volta. E tremo a mettere quel "noi", perché anno dopo anno mi chiedo se io mi senta davvero una giornalista. Grazie a Dio, la cronaca nera e giudiziaria è ormai alle spalle. Ma non posso fingere che altri la scrivano e io non debba fare scelte, magari incalzare se non "portano a casa" l'intervista o il particolare in più.

Quindi, mi sento alla deriva anch'io. C'è un confine morboso che si sposta sempre di più, e francamente io non riesco a stargli dietro. Combatto per togliere il nome ai minori (e quante volte in giro vedo sparati anche nomi e cognomi), ricordo a chi scrive che la condanna verrà solo con i giudici, terzo grado. Eppure quanti confezionano già verdetti alla denuncia, o si mettono a fare i fighi con commenti al primo interrogatorio del malcapitato. Interrogatorio a cui - ovviamente - non assistiamo. Eppure uno si sente un cronista d'assalto, perché sputtana l'accusato, già condannato.

Non mi piace più, da un pezzo. E di cavolate, ne ho collezionate parecchie.

Quella che mi ha inflitto una lezione più forte, non è venuta da una grana, bensì da una semplice lettera. Era un episodio di botte a un genitore, tanti anni fa, probabilmente all'origine la droga e la fame di soldi. Io abbracciai con entusiasmo giovanile la fonte ufficiale (che stimavo, e molto) che bollava la disumanità di un figlio verso il padre. Ora, a prescindere dal fatto che quando i genitori poi meditano, spesso ritirano la denuncia, e quindi pattinavo su un ghiaccio sottile... non era questo.

Mi arrivò dal carcere la lettera del presunto picchiatore selvaggio. Righe vergate con rabbia, forse con disperazione. Si potrebbero riassumere in una domanda: ma chi sei tu? chi sei tu per sapere? per giudicare? per raccontare? per metterci alla berlina?

Mi è servito - spero - più di una querela. Può darsi che io abbia scritto il vero o il falso, non lo so. Questo è il punto: non lo so, e non lo sappiamo mai davvero.

Chi ero io, chi siamo noi per partire carichi di sicumera? E quando finirà la nostra deriva, se non ci fermiamo mai a riflettere?

sabato 14 gennaio 2012

Una domenica con i miei ragazzi

Che io possa andare o no, stacco tutto. Trascorrerrò una domenica con i miei ragazzi.

Saranno i miei tigrotti, quelli che scendono in campo sull'erba più bella del mondo, persino in inverno. E saranno tutte le tigri della mia vita.

Che possa stare fisicamente con loro, oppure no, perché ogni istante ha le proprie incognite, le proprie inquietudini. I miei pensieri, le mie emozioni, la mia forza viene da tutti coloro che amo, o che mi amano e io magari colpevolmente non me ne accorgo. La domenica preziosa, da abbracciare forte. E che auguro a ciascuno di voi.

L'amicizia sgorga da un lago

The Bonnie Banks o' Loch Lomond. Vi ricordate questa canzone scozzese? All'inizio per me era solo un esercizio con il flauto. Poi sono ho messo piede e anima nella terra di Scozia. Tutta la sua storia si è sprigionata, mentre entravo in un passato che ufficialmente non era mio. Mi avrebbe accompagnato da quel luogo fatato all'isola di Skye, dove avrei respirato un'altra storia, quella del Bonnie Prince Charlie, salvato dal coraggio di di una donna.

Le belle rive del Loch Lomond, dove la prima immagine che mi catturò era un uomo che nutriva di pane i cigni e gli anatroccoli. Come sono sbocciate ancora. La prima volta che ci arrivai, non c'era un buco in mezzo bed and breakfast. Una signora cortese non se la sentì di respingerci, nemmeno via mail, e ci rispose: provo a chiedere a una coppia di amici se vi ospitano. Loro non avevano un bed and breakfast, ma si dissero disponibili. La loro simpatia ci conquistò subito, persino Dolly - il loro cane - ci accoglieva come se fossimo di casa.

Pensate un po': gli amici poi decisero di mettere su (bustocchismo, scusato dagli scozzesi) un bed and breakfast. Ma ogni volta che ci tornavo, ero un'amica, non un'ospite. Coccolata con costanza. E quando ci separavamo, i nostri pensieri - come i nostri laghi - rimanevano uniti. Gli auguri, le mail, i racconti di famiglia condivisi. Anche i gesti commoventi, come quando hanno fatto celebrare una messa per Papà. O il calendario mandato pochi giorni fa.

Sono trascorsi tanti anni. C'è una strada che percorre sempre la nostra amicizia e ci conduce alle meravigliose sponde di un lago. Da quelle acque il riflesso degli amici arriva fino a qui, come una benedizione che stupisce ogni giorno.

venerdì 13 gennaio 2012

Chi è più giù. Elogio di un Amico

Su Facebook ci preoccupa un momento di tristezza di un amico. Anche perché lo conosciamo bene, ed è sempre pimpante e sorridente, nonostante i problemi. A turno, come si può su questa grande tabula non rasa, lo incoraggiamo e consoliamo.

Ma questa mattina mi commuovo (avrà ragione il dottore che io mi commuovo troppo? Vabbe'). Tra quelli che lo spronano e si offrono per una chiacchierata liberatoria, c'è un amico che ha appena subìto un grave lutto. Tra l'altro, un amico con il quale oggi pomeriggio non potrò essere nel momento dell'addio e mi spiace terribilmente.

Sta soffrendo, l'Amico (la maiuscola scatta), ma ha la forza e la spontaneità di pensare subito all'altro. Anch'io per fortuna ho diversi Amici così. Una, grande lottatrice nella vita, è particolarmente meravigliosa. A volte mi scappa la lamentela e mi vergogno, anche se a lei non l'ho mai confessato. Lei è la mia roccia, quella che non mostra mai di sgretolarsi.

Io oggi li abbraccio tutti, quelli che sanno tirar su quando sono più giù.

mercoledì 11 gennaio 2012

Antonia e Salvatore. Solo loro

Solo per loro un pensiero. Antonia e Salvatore. Il loro modo di congedarsi da un mondo troppo veloce, per fermarsi a osservare i drammi altrui. Un mondo che scarica i più deboli e cerca di dire: sono loro a fermarsi.

Per questa sera, per domani penserò a loro. E oltre ancora. Anche a tutti quelli che incontro e hanno gli occhi fieri nonostante la disperazione. Che magari prendono l'inserto del lavoro o non disdegnano di guardare un bando per un posto di pochi euro.

Stasera e domani solo loro. Un pensiero. Anche e soprattutto su come agire, per spezzare un po' di disperazione attorno a noi.

Il filo e... book

Accidenti a me stessa, questa mattina mi sono svegliata con una meravigliosa frase di un libro scozzesissimo, letto a più riprese in questi anni. L'ho preso in mano perché mi ispirava un candido ragionamento. Ma non ho trovato il punto in quelle 600 pagine da sfogliare in fretta e furia.

Così mi sono chiesta: ma se mi piegassi all'e-book? Tac, metti due paroline magiche e ti porta dritto al punto. Perdere il filo è impossibile. La lotta interiore è devastante. Da una parte, vorrei concedermi questa facilitazione, con tutte le mie fragili forze. Dall'altra penso alle ricerche sulla rete: sono più veloci della luce e mi tolgono molti dubbi.

Eppure... il piacere della ricerca, quel perdere il filo e ritrovarne magari un altro, sbiadisce. Too easy. Come giocare alla caccia del tesoro con un omino che ti indica dove si trova lo scrigno.

Quindi, ci mediterò ancora. Intanto, stasera rileggo con attenzione il libro. Magari non afferro il filo giusto, ma vuoi vedere che ne troverò un altro?

martedì 10 gennaio 2012

La mia borsa è diversa?

Ci ho provato in tutti i modi, ad alleggerire la borsa. Guardate che ci ho provato sul serio. Quasi quotidianamente affronto tentativi eroici di togliere questo o quello; risultato, pesa più di prima.

Lo so, voi maschietti state annuendo vigorosamente: che cosa mettono le donne nelle borse, è il vostro ritornello preferito.

Tuttavia mi rivolgono con ammirazione a una categoria specifica di donne, quelle che hanno borsette minuscole. Neanche quando esco per una serata di piacere, riesco a utilizzarla. La tiro fuori, la coccolo e spero che sia accomodante come quella di Hermione. Ma non ci entra un tubo. Alla fine, suona l'ora della resa ed estraggo una delle mie solite, potenti borse.

La mia borsa è diversa... Forse. Quante di noi lo dicono?

Amiche dalle borse piccine, datemi una mano. Chissà che anche questa funzioni come una terapia psicologica, o esistenziale.

lunedì 9 gennaio 2012

L'anarchia regolare dei libri

Quando riversai la marea di libri negli scaffali nuovi di zecca, presi una decisione contro la mia natura. Optai per l'ordine delle collane e dei colori. Un mio amico contemplò e commentò: bleah, malu, i libri così sono troppo ordinati. Nota solo mormorata da lui: e così non c'entrano con te.

Seguivo in realtà i consigli dei più saggi, papà in testa, e sapevo che così avrei trovato il volume più facilmente, a seconda della necessità. Il tempo - che non esiste, lo so! - poi mi ha fregata: quell'ordine è durato pochissimo. Oggi guardo la mia libreria traboccante e anarchica, faticando a soffocare il gioioso impulso. Tale soddisfazione sparisce ovviamente quando cerco un libro e non lo trovo. Ci impiego giorni, mi serve per forza e non lo trovo. Allora dico a papà: avevi ragione, come al solito, non aggiungiamo altro.

Per fortuna - altra faccenduola che non esiste - ho un angolo incredibilmente anarchico e dal look casuale, dove si sono rifugiati (e credo proprio da soli) alcuni imprescindibili volumi. Non c'entrano niente l'uno con l'altro, se non che sono legati con un nodo strettissimo al mio cuore, un nodo che però non nuoce. Come avrete capito, lì riposa L'Isola d'Arturo, ma vicino c'è "Altre voci altre stanze" del mio Truman.. Nell'angolo magico ho anche "Le inutili precauzioni". E poi un libro che scrisse un mio amico 20 anni fa, Le orche di Antinoo. Lui non c'è più, ma la sua dedica è uno dei boccioli che mi ha offerto.

Altri libri sono più anarchici di me e si sono ficcati dove poi all'occasione non li troverò. Ma li acciufferò. Ufficialmente, quando non serviranno più. Alla tetra pratica, alla necessità di un giorno. Tuttavia, alla mia anima servono sempre.

domenica 8 gennaio 2012

Angelina e il disegno più bello del mondo

Ho acceso la tv, come un automa, e mi ha afferrata una canzone. Si chiama Angelina, come te, e ride con la vita e l'amore. Ci pensi?

Adesso sono trascorse ore, e il buio se n'è andato. Vorrei risentire la tua gioia, che non riusciva a farsi cancellare del tutto, neanche nei momenti più bui. Da bambina, la tua casa era un'oasi per me. Per me eri la signora spagnola e simpatica sotto casa, così sgusciavo con la mia timidezza congenita e chiedevo udienza da te. Se c'era Nanni, meglio ancora: insieme, eravate favolosi. La sua voce era forte, come le sue braccia, ma era l'uomo più tranquillo del mondo. Si sentiva, il suo bel vocione, solo quando c'erano le partite. E tu facevi ssst, temendo che potesse dare disturbo o che gli altri credessero chissà che, ma in fondo eri la sua prima fan.

Il Nanni con il suo vocione mi ha fatto male una volta sola. Nell'82 quando lui esultava per l'Italia, e io - piccola rinnegata - piangevo per il Brasile.

Posso venire, signora Angelina? Ti ho anche immortalata in un - pessimo - disegno, che tu ti sei portata appresso, anche quando siete tornati in Spagna, dal tuo mare, dal tuo oceano. Una volta me ne hai spedita una copia, come un patto che si rinnova. Era un disegno orribile di una che artista non è mai è stata, e raffigurava me che arrivavo da scuola e ti vedevo affacciata al balcone; così ti salutavo.

Tu andavi fierissima di quel disegno, per te il più bello del mondo, e hai implorato per mie lettere, ma quando le ricevevi, capivi che erano un dramma: la mia calligrafia gareggia con la mia propensione artistica, volte al peggio. Per fortuna, c'era il telefono. Quando Nanni è andato avanti, tu hai provato a vivere con la tua grazia, segnata dagli anni della sua sofferenza. Ci hai provato, con tutta te stessa, con la tua naturalezza che è amore per la vita. E proprio la vita non te l'ha permesso.

Ma non mi hai mai lasciato, anche se sono un orso cronico. Le nostre conversazioni marziane, perché ci avevo provato a studiare lo spagnolo, ma poi ho lasciato perdere, e tu dopo anni ormai non parlavi più con nessun altro l'italiano. Pensare che all'inizio qui masticavi pure il dialetto, ridevi come una bambina quando scopristi la parola "naguta".

Adesso tace il telefono, non il nostro cuore. Tu hai voluto unirti al mare, ma so dove sei, o almeno me lo ripeto. Il Nanni ti avrà detto che ti adora ed è felice di abbracciarti ancora, ma occhio che oggi c'è la Pro Patria.. Lasciarlo urlare di passione tigrotta, guarda con lui tutte le partite. E guarda un pochino il mio disegno, sbircia me, la tua ex bambina che non è mai cresciuta un granché e non osa muoversi, se non avvertendo prima: posso...?

sabato 7 gennaio 2012

L'uncinetto e i nodi

La contessa ha preso bonariamente il giro il mio primo tentativo di uncinetto, ma io le voglio bene ugualmente. Dodo però prende una medaglia in più, perché ha mostrato tenera compassione.

Nel ricamo da ragazzina facevo pena; in montagna un'estate mi rassegnai a imparare a destreggiarmi con i ferri della maglia, grazie a una brillante signora - piuttosto assertiva per rubare un termine che usiamo di questi giorni, noi fans di Dog Whisperer, e io in effetti mi sentivo un cucciolo - ma quando mi accorsi che la prima sciarpa ostentava un buco, la abbandonai. Anche per non far soffrire ulteriormente la signora.

Non sono portata per questo genere di cose, e mi spiace come tutte le passioni familiari che non sono riuscita a portare avanti. Non ho un componente femminile nel mio albero genealogico, che non abbia saputo brillare, confezionando ottimi maglioncini, centrini, ricami da sballo. Insomma, è brutto, è come se io non venissi da nessuno di questi esseri che pur amo, ciascuna con le sue peculiarità. Mariuccia era un mago, zia Antea faceva miracoli, e la nonna Giuseppina che tra l'altro era una donna di ferro? si sa che io vado fiera del suo sferruzzare mentre guardava la box. Insomma, noi Lualdi, Castiglioni, Galli, Zerini mica pettiniamo le bambole.

Posso forse affermare di essere figlia del mio tempo, ma anche questa è una scusa, perché vedo coetanee sferruzzare che è una meraviglia.

Allora sono solo io. E adesso prendo in mano un uncinetto che mai avevo toccato, non per confezionare in tempo di crisi (però mai dire mai), bensì per cimentarmi con i nodi che sono la principale seccatura della mia vita, forse delle nostre.

Perché credo che la Kabbalah abbia tracciato una strada saggia: c'è un nodo che si forma nella nostra esistenza, e a volte non lo individuiamo subito. Così cresce, ci frena, ci aiuta a commettere lo stesso errore. Fermarsi, esaminare il tracciato, trovarlo e scioglierlo può essere la nostra salvezza.

Siccome anche il mio c'è, ma non lo vedo, o meglio non ancora nella sua pienezza, perché un'ombra si insinua, ecco che afferro l'uncinetto. Lì il punto sbagliato non si lascia fraintendere. E lo puoi sciogliere in mezzo secondo.

Mi capisci, dolce contessa? un bacio a una meravigliosa famiglia, appena conosciuta.

venerdì 6 gennaio 2012

Pigliati una stella e sii felice

Nel bar scherziamo spesso che incrociamo troppi bronci, gente che quasi non ti fa passare e se cerchi un varco cortesemente, o ti ignora o ti ostacola. Il mio amico varesino commenta: ecco, sono i varesini. Non è che altrove sia però una delizia.

Qualche giorno fa, però, stavo cercando un posticino con Chicco al bancone dei bar per bere il caffè ed ecco un miracolo: tre sorrisi meravigliosi, tre volti che brillavano e scambiavano auguri con il baristi. Erano tre pachistani, credo, che si sono subito scostati perché avessimo spazio. Li ho ringraziati con un sorriso a mia volta e sono stata colpita dalle loro voci festose. Quando se ne sono andati, ho avvertito persino l'irrefrenabile impulso di rivolgere loro gli auguri.

Sarò condizionata dall'Epifania, dal libro di Giavini sullo stupore che rileggo di settimana in settimana, ma la loro gioia mi ha meravigliato deliziosamente e mi ha messo in testa un'idea ovviamente folle: forse erano i re magi.

La Befana è paganamente simpatica, ma volete mettere la storia di questi tre uomini? Cioè, tre signori che stanno anche bene, nel loro conciliante agio insomma, e si mettono in viaggio per chilometri e chilometri, perché richiamati da una stella che dà loro un annuncio pazzesco.La stella nel cielo, e una che si accende nel cuore e batte furiosamente. La ciliegina sulla torta è che quando trovano il bimbo, mica si dicono: uè, ma questo è un poverello, ci hanno preso in giro. No, si fidano, lo riempiono di doni e tornano felici.

Oggi gli avrebbero prescritto un trattamente sanitario obbligatorio. La loro felicità, iniziata con un viaggio folle, è proseguita, anzi è esplosa. Se riesco a mettermi in viaggio per una stella, sulla parola (e pure inespressa, secondo i canoni umani)... ah che voglia di provarci. Ma sì, pigliamoci una stella che è la medicina migliore. E poi lasciamola andare: a ciascuno il proprio viaggio.

Buona Epifania.

giovedì 5 gennaio 2012

Il Paese dove non sappiamo stare

Entrata in punta di piedi in "Ritratto di Signora", ho subito commesso un peccato, spero perdonabile. Irrimediabilmente, le prime pagine mi hanno condotto più all'autore che ai protagonisti che si affacciavano. Mi solleticava questo vagare tra l'America e l'Inghilterra, tra ciò che è americano e ciò che è inglese.

Mi sono riletta le note biografiche di Henry James. Gli Usa, il richiamo europeo, e in particolare proprio per l'Inghilterra. Ho pensato che a volte il Paese è come un corpo: non ci sappiamo stare. Insomma, ci siamo nati, ma sentiamo che forse è stato per sbaglio, o semplicemente in un altro ci troveremmo meglio. Vogliamo dimagrire, ingrassare, cambiare colore... Vogliamo una terra più calda, baciata dal fresco, senz'altro diversa.

Scomodo un altro mio diletto: Stevenson. La scusa è la salute, che spinge sempre più a Sud, a caccia del sole: la combustione si fa magica e determinante, con l'apporto dell'ingrediente fondamentale che si chiama amore. In realtà, al di là dei panorami, si cerca un altro modo di vivere. Non so, se lo si rintracci mai.

Io stessa mi confesso dolcemente colpevole. Da quando ho una manciata di anni, guardo nostalgicamente alla Scozia. Scrivo della Scozia, sogno della Scozia, e una volta in aereo ho risposto in modo così veemente sugli inglesi (perdonami, topolino mio) a un olandese, che quest'ultimo mi chiese: ma allora sei davvero scozzese?

Può darsi. So che se le sto lontano, mi manca. E che se ci arrivo, respiro. Lo scrivo contemplando il mio campanile sinaghino, stamattina purificato dalla nebbia, e ammettendo che il mio Lago Maggiore non è secondo a nessuno, nemmeno al mio amato Lomond.

Eppure il confine è lieve, come scrive Giuseppe Battarino. Io lo varco, di continuo.

mercoledì 4 gennaio 2012

La strada della nebbia magica

Sembra l'antitesi della deliziosa e speranzosa canzone del Rocky Horror (ribadirò fino alla noia: uno dei testi più avvincenti di filosofia moderni), quella che cinguettava: there's a light... Sì, insomma, in teoria c'è sempre una luce nella strada più buia e ce ne rallegriamo tutti.

Eppure io ho un debole per una strada, a pochi passi da casa mia, che sfoggia un potere misterioso e forse perverso: quasi sempre lì c'è nebbia. A volte mi infilo apposta, manco vivessi nella nostalgia da scighea o come si scrive, i maestri del dialetto mi perdonino, poi controllerò.

La nebbia è creatura sfuggente, rispetto al passato: anche lei si è rotta un po' le scatole, accade. La magia in quella strada è che spesso un batuffolone grigio appare e si sofferma a guardare tutti con l'aria dispettosa di un bambino. Non è una via di brughiera, al limite ha un ultimo scampolo di campagna tra case e palazzoni. Devo dire che quel terreno mi sospinge già indietro di per sé, perché mi riporta a una mitica visita al circo da bambina: mi guidò il nonno, in arrivo dalla Valle, e mi teneva stretta la manina mentre varcavamo la soglia del tendone. Il cuore batteva forte, per lo spettacolo, e perché ero con lui.

Il nonno se n'è andato, il circo ha scelto altri lidi. Eppure è rimasta lei, la nebbia. Certe notti in cui tutto è così limpido che più limpido non si può e si sopporta, percorro apposta quella strada, nella speranza di ritrovarla e di ritrovarmi.

martedì 3 gennaio 2012

Orecchini e piccoli pensieri per sé

Ho impiegato 40 anni a farmi i buchi nelle orecchie. E il merito non è nemmeno mio. Diciamo così: ho sempre detestato - uno dei principi condivisi con il Demone dei Kiss - qualsiasi segno che fosse definitivo su un corpo che definitivo non è. Insomma, nulla è per sempre, allora perché devo imprimere un marchio, che sia un tatuaggio o un forellino? Fa pure male, per pochissimo va bene; ma visto che questa povera carcassa deve già subire la propria dose di sofferenze, risparmiamole quelle minori.

Un dì, lui mi ha detto: perché non ti fai i buchi nelle orecchie? Io ho preso e sono andata. Nessuno dei miei familiari o amici ci credeva. C'era una bambina, la figlia del titolare del negozio, che scalpitava guardandomi, perché voleva già mettersi gli orecchini. Il padre mi pregò di dissuaderla e allora le ho assicurato che l'operazione procurava un male boia. Non penso di averla convinta, perché i miei occhi di solito mi tradiscono. Dentro di me, ridevo.

Perché pensare a quel simpatico giorno? Forse perché sono in cerca di simili, piccoli pensieri per me stessa. Con gli orecchini mi piaccio, eppure non avevo mai contemplato l'idea. Nessuno mi ha forzato, ma è bastata una frase buttata lì da qualcuno che mi vuole bene per prendere in esame un'idea prima mai contemplata.

Ho bisogno di trovare qualche altro piccolo pensiero, abbattere qualche piccolo tabù dell'anima. Non so se capita anche a voi. Per il corpo, per ora mi soffermo alla maschera di fango: dura solo dieci minuti. Sui tatuaggi non ho cambiato idea: quando ero a Sharm, me ne fecero due meravigliosi. Mi sentivo uno schianto. Ma il vero bello, sapete qual era per me? Che poi si sarebbero dissolti. Anche per questo, me li godevo tanto.

lunedì 2 gennaio 2012

Arturo e il ritorno dei D-book

Mi accingo a leggere un D-book, acquistato prima di Natale. Mi attendono due testi, e per ora non ne svelerò il titolo.

Basta la dichiarazione di intenti. I D-book sono quelli del Dovere, insomma i libri che a scuola ti hanno infilato caparbiamente tra i must e quindi tu li hai evitati come la peste. A volte, dovevi cedere, tra mille sospiri. Ricordo un'unica reazione gioiosa al liceo: quando spulciammo, tra gli interminabili titoli proposti, L'amante di Lady Chatterley. Credo che la prof non fosse poi così sorpresa, quando alla prima lezione di inglese post vacanze ci presentammo tutti fieri di questa lettura. Che oggi probabilmente è da educande.

Per il resto, morte ai D-book, tranne una manciata d'obbligo per non soccombere a fine anno. Non è che ora affiorino di botto, sintomi preoccupanti ce n'erano stati già in passato. Posso affrontare serenamente il mio outing, visto che il mio ex prof è su Facebook oggi: non gli mentirò. Lui era un fan de "L'isola d'Arturo", a me metteva l'orticaria solo il titolo. L'ho preso, perché sono obbediente, ma non l'ho lasciato entrare nella mia caparbia esistenza. All'inizio.

Pochissimi anni dopo (ovvero a distanza di sicurezza dalla scuola), Elsa Morante diventò la mia eroina incontrastata: avevo letto quasi tutti i suoi libri. Ma fin qui, niente di male. E' proprio l'Isola che mi ha agguantata, con la stessa magia che anima Procida. Tant'è che io sono una devota della svizzera-napoletana Ischia, ma quando ci sono andata, ho sempre dovuto prevedere una tappa a Procida. Tra i pescatori, i cestini calati dai balconi per dare chiavi e quant'altro e poi la chiesa che domina tutto e tutti, disseminata di bigliettini con gli anatemi di un prete contro i ladri.

La perversione è cresciuta al punto che mi piace mettermi al cospetto delle rocce, tra "angeli e angelesse" e vedo il misterioso Wilhelm, bello e dannato, con il quale forse mi sento solidale per ostentare una pelle bianca in un mondo che inneggia all'omogeneità e cancella le mille sfumature.

Lo vedo "solo, mezzo steso su un lembo di terreno fiorito d'erbacce", gli occhi fissi a una finestrella del penitenziario. Lui così bello e stracciacuori, piegato da un amore vergognoso e impossibile, anzi calpestato con l'epiteto di Parodia. Lui che prova a spezzare l'indifferenza, con il suo canto, "con una testardaggine infantile e cupa". E come Arturo, chiuse quelle pagine, è difficile lasciare Procida, ma devo.

Mm, che paura aprire il nuovo D-book.

domenica 1 gennaio 2012

Un augurio italiano? Che non finisca sempre "prima"

I discorsi ufficiali mi scivolano via, saranno i fatti a salvarci o rovinarci. Ovvero noi stessi, sempre che non ci attacchino altre zavorre per andare a fondo meglio.

Ma se devo scegliere un auspicio per il nostro Paese, in blocco, è che perda la sindrome del "prima". Non è un vizio solo pubblico. Esamini l'orario di un ufficio? Guai se entri dieci minuti prima, e non per tuo sfizio ma perché magari quell'orario non è proprio ritagliato sulla realtà di chi lavora. Nel migliore dei casi, troppi ti trattano male, qualcuno ti invita anche a tornare.

Hai un buono di qualsivoglia natura che devi spendere con ultima data utile stampata in evidenza? Accade che ti presenti a spenderlo, ma scopri che quella data è utile solo per te: doveva venire prima, oggi è troppo tardi. Ma se c'è scritto così, ci sarà pure una buona ragione: be', doveva avvisarmi prima.

Se proprio non vogliamo cambiare - e dunque non essere presi sul serio - almeno siamo più chiari.

Negli uffici esponiamo cartelli più veritieri, anticipando di un bel dieci minuti la chiusura. Qualcuno già lo fa, peraltro: non varcate quella porta.

E se ci sono buoni, bonus e altre diavolerie, si scriva per favore: ultima data 31 gennaio, ma bisogna spenderlo almeno una settimana prima. Così ci capiamo.

Buon primo dell'anno. Ma basta prima!